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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera dei deputati durante le comunicazioni sul prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. Roma, Mercoledì, 26 Giugno 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Prime Minister Giorgia Meloni in the Chamber of deputies during communications on the next European Council on 27 and 28 June. Rome, Wednesday, 26 June 2024 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Fino a questo momento, sia in virtù di risultati elettorali straordinari, sia per una disciplina di partito con poche sbavature, della situazione interna a Fratelli d'Italia si è parlato veramente poco. L’abc della politica, d’altra parte, recita che difficilmente possano palesarsi delle turbolenze all’interno di una forza politica che, in una manciata di anni, ha decuplicato i propri voti, è divenuta la forza di maggioranza relativa ed è passata dall'essere l'unico partito di opposizione a quello che esprime il presidente del Consiglio. Eppure, alcune vicende delle ultime settimane hanno fatto emergere dei segnali che, se non proiettano FdI nel fermento precongressuale della Lega o nell’aria da resa dei conti all'interno del Movimento 5 stelle, indicano la possibile sedimentazione di diverse correnti di pensiero o, in prospettiva di vere e proprie componenti.
Ieri, a margine di una conferenza stampa a Montecitorio, i cronisti sono andati a “stanare” il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli sulle dichiarazioni del presidente della commissione Cultura Federico Mollicone che hanno sollevato un caso politico, riguardo al presunto “teorema” che vuole stabilire un filo nero tra la stagione dello stragismo e la destra italiana. Parole giunte al culmine della stessa settimana che ha visto lo scambio incandescente tra la premier e il presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi, che l’inquilina di Palazzo Chigi aveva fretta di archiviare.
Seppure innescata da un volo pindarico di Bolognesi, che era partito dal ricordo della tragedia per poi scivolare su esternazioni complottiste riguardo alla separazione delle carriere “ordinata” dalla P2, la polemica alimentata da Palazzo Chigi era giunta al culmine di numerose giornate vissute ad altissima tensione dal Capo dell'esecutivo, partendo dall'attacco ai media dopo la pubblicazione del Rapporto Ue sullo Stato di diritto, passando per l'invettiva contro il Cio per il via libera alla pugile algerina “intersex” Imane Khelif, arrivando appunto alle polemiche sulle sentenze per le stragi.
Rampelli, si diceva, è stato ben lieto di difendere a spada tratta Mollicone, esponente dei “gabbiani”, la componente romana del partito facente a lui riferimento, a cui i retroscena attribuiscono l’unico controcanto a Meloni degno di questo nome. Che Rampelli e i suoi mastichino amaro da un po’ di tempo, da quando cioè la leader li ha estromessi dal governo nazionale e da quella laziale preferendo il mansueto Rocca, e ha messo le redini del partito romano saldamente in mano alla sorella Arianna e al “cerchio magico” meloniano, è cosa nota e a suo tempo doviziosamente riferita. Quello che potrebbe incrinare la pax imposta dalla premier con le ripetute vittorie elettorali, ora, è la linea politica basculante che quest'ultima ha impresso al suo governo e che oscilla tra le aperture al conservatorismo liberale e all'adesione alle liturgie repubblicane al no a Ursula con der Leyen e l’ammiccamento alla piattaforma teocon di Trump e al sovranismo orbaniano. Stando in mezzo al guado, la premier potrebbe indurre gli esponenti più inquieti a delle sortite con l’intenzione di tirarle la giacchetta in una direzione o nell’altra. Rampelli ha risposto a brutto muso alle richieste di dimissioni, avanzate dalle opposizioni, per Mollicone, ma chi pensa che abbia voluto parlare anche ai piani alti di via della Scrofa non si discosta dal vero: «A me risulta», ha affermato Rampelli, «che in democrazia ognuno possa, con la giusta dose di equilibrio, esprimere le opinioni che ritiene e che pensa, anche sulle sentenze e sulle modalità con cui alcuni processi sono stati celebrati». Ventiquattro ore prima, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, tra i volti più istituzionali di FdI, verosimilmente in accordo con la premier aveva redarguito Mollicone, seppur blandamente e rinnovandogli i sensi della sua amicizia: «Non condivido», aveva detto, «le affermazioni del collega e amico Mollicone, non perché conosca i fatti per poter avere un'opinione personale ma perché l'essere stato ufficiale dei Carabinieri mi ha insegnato che le sentenze passate in giudicato non si criticano, si applicano». Ma la vera novità all'interno del partito, forse, è che da qualche tempo si è levata anche qualche voce critica da “sinistra”, che vorrebbe una linea di collaborazione coi Popolari e i liberali europei senza tentennamenti, tanto da ipotizzare l'abbandono della Fiamma, simbolo dell'appartenenza di FdI alla storia della destra italiana fondata da Giorgio Almirante. La questione è stata posta dal deputato Andrea De Bertoldi, che poi è stato letteralmente ignorato dal gruppo dirigente del partito. La situazione, insomma, è ancora lontana dal livello di guardia, ma un autunno che si preannuncia molto complicato dal punto di vista dei conti pubblici e delle scelte da fare potrebbe far passare la faglia tra liberali e populisti anche per via della Scrofa.