Noto, anzi leggendario come editore per la sua abitudine, specialità, mania e quant’altro di controllare le note spese dei giornalisti per garantire, con le buone e le cattive, il loro contributo al risanamento delle aziende che gli capita di acquistare con i conti in rosso, Urbano Cairo si è giustamente vantato, in una godibilissima chiacchierata con Carmelo Caruso, del Foglio, dei “grandi numeri” non più in rosso della sua 7 televisiva.

«Abbiamo un utile di centomila. Ogni anno perdeva 100 milioni, che significano un miliardo in 10 anni», ha raccontato “il Faraone”, con la maiuscola, come Caruso lo ha chiamato tallonandolo con fortuna in un albergo milanese dove l’editore - peraltro anche del Corriere della Sera- partecipava alla presentazione dei programmi della sua Tv ben bene risanata.

Me lo ricordo, Cairo, una trentina d’anni fa, quando lo trovavo sempre di buon mattino nel cortile del palazzo milanese di via Paleocapa, dove aspettava ogni giorno con sorriso e pazienza l’arrivo di Fedele Confalonieri. Sorrideva anche a me, che ero appena tornato in Fininvest dall’esperienza della direzione al Giorno. Capii subito che era uno, allevato nella scuderia di Silvio Berlusconi, destinato a non stare lì ad aspettare troppo a lungo Confalonieri o altri. E infatti di strada ne ha fatta, tutta meritata. I conti de La 7 risanata lo ripagano ampiamente dei dispiaceri - temo - che debbono procurargli parecchie delle sue trasmissioni non proprio in linea con le proprie, ferme convinzioni politiche favorevoli a Giorgia Meloni e al suo governo, al netto dei problemi o problemini che procura alla premier il suo vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini.

L’ultimo dei quali ha toccato, neppure tanto di striscio, i rapporti col Quirinale dopo il discorso del presidente della Repubblica al raduno cattolico di Trieste. «Meloni governa», ha detto Cairo con brevità e solennità tacitiane. Da Tacito, naturalmente. Le piace? Gli ha chiesto il segugio fogliante sempre a proposito della premier? «Stabilità, stabilità per fare quelle riforme che l’Italia attende. Anche la legge elettorale dovrebbe essere una legge che dà stabilità», ha risposto Cairo. Meloni è isolata in Europa?, ha incalzato Carmelo Caruso. «Non mi pare che sia isolata», ha risposto “Cairo d’Italia”, come lo ha chiamato nel titolo Il Foglio privilegiandolo al “Faraone” ripetutamente usato nel testo dell’articolo.

E la lettera con la quale la premier ha appena richiamato i suoi fratelli e sorelle d’Italia a stare attenti, giovani o anziani che siano, alle parole e ai gesti più da “macchiette in mano agli avversari” che da militanti di una promettente destra moderna e conservatrice? «Una lettera bellissima. È stata brava» la Meloni a pensarla, scriverla e diffonderla, ha risposto l’editore.

Che si sente forse anche per questo esonerato dal bisogno, dal desiderio, dalla tentazione - chiamatela come volete - di un suo impegno politico più volte evocato, prospettato, sospettato dal giornalista del Foglio. Spintosi a mettergli in testa il sospetto che sulla strada di questo impegno possa precederlo Pier Silvio Berlusconi, il figlio maggiore naturalmente di Silvio e basta. Un sospetto che deve avere fatto qualche breccia nella mente, nel cuore, nelle viscere, come preferite, dell’editore se questi, nella costruzione dell’articolo di Carmelo Caruso, ha chiuso l’incontro chiedendo: «Ma secondo voi Pier Silvio si candida?».

Della sorella Marina pare che Cairo non abbia dubbi: non si lascerà tentare dalla politica, per quanto anche a lei vengano attribuiti ogni tanto disegni analoghi a quelli del padre. Meno male che per discrezione, per paura o chissà per quale altro motivo ai conduttori delle trasmissioni televisive del La 7 non abbiano mai invitato a parlare di politica o affini il loro editore. Gli sarebbe toccato o gli toccherebbe la stessa sorte riservata a chi vi si affaccia, invitato, per esprimere opinioni favorevoli alla premier.

La sorte dell’uno contro tutti. Che è sempre una sorte scomoda, se non sgradevole, per quanta visibilità possa procurare all’interessato. E gratitudine possa questi guadagnarsi a Palazzo Chigi e dintorni, anche se in politica, come diceva spesso la buonanima di Enzo Biagi citando un’altra buonanima, Giulio Andreotti, la gratitudine sia solo «il sentimento del giorno prima», dimenticato o rimosso il giorno dopo.