La discussione infuocata sul manifesto di Ventotene, esplosa qualche giorno fa in Parlamento e innescata dalla premier Meloni, ha lasciato sul campo scorie ancora radioattive per entrambi gli schieramenti. Abbiamo fatto il punto con Gaetano Quagliariello, ex ministro e attualmente Dean della School of Governement dell’Università Luiss Guido Carli di Roma.

Professore, che idea si è fatto di quanto avvenuto in Parlamento dopo i riferimenti della premier al manifesto di Ventotene?

Il riferimento a Ventotene nasce in un contesto. E il dibattito che si è scatenato è sintomo di una difficoltà bilaterale. Il Manifesto non è stato evocato a freddo, ma dopo che gli organizzatori della Piazza europeista lo avevano evocato e anche distribuito. Oggettivamente si tratta di un manifesto evocativo. Oltre che di un testo molto più evocato che letto. Per quanto riguarda l’iniziativa di piazza, è andata a coprire un’evidente, e non taciuta, ambiguità: una manifestazione per l’Europa, nella quale sono confluiti sia i pacifisti che i sostenitori del riarmo. Non c’era un’idea condivisa su come ricostruire l’Europa. Ora, che Giorgia Meloni in Parlamento, partendo da questa debolezza, abbia letto alcuni passi e abbia detto «quella di Ventotene non è la mia Europa», francamente, l’ho trovata una cosa scontata. L’Europa di Spinelli e Rossi non è l’Europa di De Gasperi. E non è quella della Meloni. L’Europa della premier è quella delle nazioni, di De Gaulle, antitetica a Ventotene e diffidente nei confronti del vincolo sovratlantico. Meloni, poi, credo abbia voluto aprire il dibattito anche per nascondere le difficoltà interne al proprio schieramento.

Nelle parole della premier non vede un cambio di narrazione volto a modellare la realtà attuale e il consenso anche attraverso l’attacco a simulacri che sembravano intoccabili come il manifesto di Ventotene o la stessa Costituzione?

Guardi, se Meloni avesse rivendicato Ventotene avrebbe dovuto essere denunciata per appropriazione indebita. Il Manifesto è un testo evocativo ed io ho grande rispetto per Spinelli. Ma non mettiamo il Manifesto di Ventotene sullo stesso piano della Costituzione. Detto che qualsiasi testo è comunque criticabile, si tratta di testi abissalmente differenti. Non si tratta di lesa maestà. Ritengo, più banalmente, che Giorgia Meloni lo abbia evocato per coprire una difficoltà: il dissenso con la Lega sulla questione del riarmo che sarebbe stata la notizia del giorno. Ventotene è stato utilizzato da una parte e dell’altra per fare politica. Potrebbe persino derivarne qualcosa di buono: aprire un vero dibattito sull’Europa. I miti sono importanti, ma non fa mai male parlare della sostanza delle cose.

Come ha giudicato, invece, la reazione delle opposizioni?

La reazione è stata istintiva. Razionalmente il centrosinistra avrebbe dovuto dire: «Che il manifesto di Ventotene non sia la tua Europa non è affatto una notizia. Ma se la tua Europa è quella delle nazioni che rivendicano la loro storia e la loro specificità nei confronti innanzitutto degli Stati Uniti, qualora la politica di Trump mettesse in difficoltà l’Italia e l’Europa, saresti disposta a seguire la tua idea di Europa contro l’America di Trump?». Questo discorso sarebbe stato molto più incisivo dal punto di vista politico. Avrebbe colpito il centro del problema.

Meloni, invece, sembra essere sempre più vicina a Trump. Vede anche profili comuni nella loro narrazione che vuole ribaltare quella andata per la maggiore dal dopoguerra a oggi?

Non mi pare che ci siano particolari analogie da questo punto di vista. Credo, però, che Meloni abbia un problema davanti a un cambio eccezionale dello scenario internazionale che l’Europa non ha voluto ma del quale non si può non prendere atto. Se l’atteggiamento di Trump e degli Usa fosse stato diverso, l’Italia avrebbe potuto essere la chiave di volta di un ponte. Nel momento in cui, invece, Trump sembra indulgere nel tentativo di stabilire un nuovo ordine mondiale, governato da tre grandi potenze come Usa, Cina e Russia, si determina un evidente problema per l’Europa delle nazioni. Di questa questione si sono accorte tutte le grandi nazioni europee e si stanno muovendo di conseguenza. Lo ha fatto la Gran Bretagna, riavvicinandosi all’Europa in maniera inimmaginabile dopo la Brexit; lo ha fatto la Germania, consentendo di cambiare la Costituzione a un Parlamento già scaduto; lo ha fatto anche la Francia, riconsiderando i rapporti tra le diverse forze politiche. Meloni lo sta facendo con prudenza. Ma alla fine lo dovrà fare anche lei. La difficoltà della premier italiana è una: al governo c’è una forza, la Lega, che questo cambiamento non lo vuole. Così come all’opposizione c’è un pezzo che non intende prendere atto della situazione, mi riferisco al M5S di Conte. Questo è il motivo per il quale, in Italia, invece di scontrarsi sulla politica estera si litiga su Ventotene. Il che, da un punto di vista intellettuale, è comunque sempre stimolante, a condizione di parlare della realtà dei miti.