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Con i razzisti non si beve e tanto meno li si serve. Era già successo, nella note dei tempi. Il 21 giugno 1973 quando il leader neofascista Giorgio Almirante si fermò con moglie e scorta sul Mottagrill di Cantagallo a un passo da Bologna. Riconosciuto quello che all’epoca era uso comune definire il fucilatore, in memoria dei tempi non lontani di Salò, i camerieri improvvisarono uno sciopero totale finché Almirante, pur strepitando, non si decise ad alzare i tacchi.
L’episodio fu eloquente. L’anno prima, alle elezioni politiche, il Msi aveva preso una barca di voti, raddoppiando le percentuali. La reazione era stata profonda, vasta e sentita. Quel voto era stato avvertito come una minaccia non solo dai già numerosi militanti della sinistra in ogni sfumatura di rosso ma anche dalla stragrande maggioranza degli italiani. Magari non volevano la rivoluzione proletaria. Magari al momento del voto si turavano il naso, come da consiglio di don Indro, e votavano Dc pur di fermare i rossi. Ma di fascismo non volevano sentir parlare comunque. Il “Canzoniere delle lame”, glorioso gruppo bolognese nato nel quartire delle Lame, per l’appunto, da quell’episodio fece nascere anche una canzone: «Era giugno e faceva un gran caldo Almirante affamato sbuffava / a Bologna di mangiare sperava / E al suo autista ordinò di frenar». E poi: «Essi aspettan di essere serviti / Oggi in bianco dovranno restar / Basta un cenno e tutti i compagni / Dal self service ai distributori / Per i fascisti e i fucilatori / Gli gridavan qui posto non c’è»
Non è la stessa cosa. I tempi sono cambiati. La campagna elettorale appena trascorsa è stata una ripetizione grottesca di quella del 1972, costellata come fu da manifestazioni antifasciste e scontri. Il gelato mancato di Salvini è un remake mesto della protesta dei camerieri di quel celebre autogrill. Quelli avevano alle spalle un’egemonia culturale e un movimento di massa. Non torse loro un capello nessuno La cameriera appassionata, invece, è stata licensiata sui due piedi.