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LEGA E ITALIVA VIVA PROVE DI DIALOGO
Di certo non è un’autostrada quella che Lega e Italia Viva hanno davanti, e anzi appare più come un sentiero stretto e impervio del quale s’intravede a malapena la traccia. Ma le parole del capogruppo della Lega in Senato, Massimiliano Romeo, su queste colonne, lasciano aperti molti interrogativi. L’esponente leghista ha parlato di «possibili convergenze parlamentari per il bene dell’Italia» su temi che accomunano i due partiti, pure all’opposto per tante altre questioni. Ma su infrastrutture, gestione corale del Recovery Plan e spinta all’economia attraverso l’abbattimento della burocrazia, renziani e leghisti non sembrano così distanti. D’altronde, da sinistra non sono pochi quelli che accusano l’ex sindaco di Firenze di essere “di destra” sin dai tempi in cui era al vertice della segreteria del Pd. Un esempio su tutti: il Jobs Act. Ma se, al contrario, da destra nessuno potrebbe accusare in alcun modo l’ex ministro dell’Interno di essere “di sinistra”, lo spostamento della sua strategia politica verso un dialogo con una parte della maggioranza alimenta i dubbi sulle reali speranze della Lega di tornare presto al voto. Certamente Salvini avrebbe voluto le urne un anno e mezzo fa, quando il suo partito gongolava oltre il 30% di consensi, ma da quei mesi sembra passato un secolo, in mezzo è arrivata una pandemia che ha sconvolto il mondo e anche nella politica nostrana qualcosa è cambiato. Un elemento su tutti: l’ascesa di Fratelli d’Italia sotto la guida di Giorgia Meloni. Che in diverse delle occasioni più recenti ha strigliato l’alleato a non fare scherzi e a dimostrare compattezza nel chiedere il prima possibile il ritorno alle urne. Volontà prontamente ribadita dal leader leghista, che al tempo stesso in un sagace equilibrismo terzorepubblicano lascia tuttavia aperta la porta di un eventuale governo diverso da quello attuale ma senza passare per il voto.
E Italia Viva? Se c’è un partito che più di tutti nelle ultime settimane ha messo in discussione la stabilità del Conte bis è proprio l’ancora neonata creatura del senatore di Rignano sull’Arno, il cui progetto stenta a decollare. «È ancora troppo presto», spiegano fonti interne al partito, meglio provarle tutte prima di tornare alle urne. A cominciare dall’ipotesi di un governo guidato da una personalità di spessore internazionale per la ricostruzione economica post coronavirus. E che ottenga la fiducia con i voti, perché no, anche della Lega e del centrodestra. Se Berlusconi si convincerebbe in men che non si dica, quasi impossibile sarebbe far digerire il boccone a Fratelli d’Italia, che toccando punte del 18% nei sondaggi ha la legittima ambizione di trasformare quei consensi in seggi. A tenere a debita distanza i due Matteo, insomma, c’è ancora la tenacia di Giorgia.
che diventi scorsoio.
Questo è il morbo del governo. La sua inadeguatezza. La sua incapacità di superare i limiti di approssimazione che ne avevano segnato la nascita per mettersi in grado di affrontare una situazione eccezionale. L'incapacità di impostare politiche strategiche, di avere orizzonti che vadano oltre la giornata. L'inguarita e forse inguaribile tendenza a contare sempre soprattutto sul rinvio, anche quando la drasticità sarebbe d'obbligo e la dilazione è esiziale. Senza riuscire a guarire in tempi brevi da questa malattia fatale, e non si vede come si possa guarire senza il coraggio di riconoscere il quadro clinico, risolvere la rissa di turno, con Renzi o con chicchessia, non servirà assolutamente a niente.