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SCINTILLE CON DRAGHI E CON IL PARTITO DEMOCRATICO
«Dicono che il M5S vuole uscire dal governo ma inizio a pensare che qualcuno voglia spingere il M5S fuori dal governo, se è questa l’intenzione lo dicano chiaramente». La “bomba” di Giuseppe Conte arriva poco prima dell’ora di pranzo, durante la conferenza stampa di presentazione della scuola di formazione politica del Movimento. «Chiedo rispetto per 11 milioni di cittadini che hanno votato il Movimento, non vanno presi in giro», dice l’avvocato, intervenendo dopo giorni di grande tensione col presidente del Consiglio Mario Draghi, che hanno visto i grillini non partecipare al voto in Cdm sul decreto Aiuti, a causa di uno “sgarbo” finito tra le maglie del testo: la costruzione di un inceneritore a Roma, per andare incontro alle richieste del sindaco dem della Capitale Roberto Gualtieri. Una dichiarazione di guerra per i Cinque stelle, da settimane già impegnati in un braccio di ferro col resto della maggioranza sul fronte della crisi ucraina e del rifornimento di armi a Kiev. È giusto, dice l’ex premier, «che in una democrazia parlamentare il presidente del Consiglio venga a spiegare qual è la posizione dell’Italia, in quale direzione il paese si sta muovendo. Quando andrà a Washington, cercherà di ascoltare Biden o anche di persuaderlo sulle sue posizioni?».
Da giorni infatti Conte chiede a Draghi di riferire in Parlamento sulla strategia italiana in tema di conflitto, stuzzicando i nervi del capo del governo. Che a sua volta non teme di lasciarsi trascinare nella rissa e prende di mira alcuni dei provvedimenti bandiera del M5S come il superbonus al 110 per cento. Se le parole di Draghi sul superbonus fossero una «rappresaglia» alla «richiesta legittima» di sentire il premier in Aula sulla crisi ucraina sarebbe «gravissimo», dice Conte, attaccando a testa bassa. E a tutto campo. Perché nel mirino del presidente 5S non finisce solo il suo successore a Palazzo Chigi, ma anche gli alleati: il Pd. L’avvocato non solo ha deciso di affrancarsi definitivamente dalla linea iper governista di Enrico Letta, ha scelto di fare concorrenza spietata al Nazareno sui temi storici della sinistra italiana che i dem hanno lasciato incustoditi: lavoro, pace, ambiente, diritti civili. E le continue scintille degli ultimi tempi rischiano seriamente di trasformarsi nel rogo che ridurrà in cenere il campo progressita. «Col Pd bisogna intendersi», mette in chiaro Conte, «chi vuole lavorare con noi deve sapere che per noi ci sono principi non negoziabili». Sul tema del riarmo da parte dei dem c’è stato «un chiarimento tardivo». Così come sull’ambiente: nel secondo governo Conte il Pd «aveva sposato la transizione ecologica, poi ci propone gli inceneritori. Noi non stiamo cambiando strategia. Chi lavora con noi deve chiarire quelle posizioni», aggiunge, annunciando l’impossibilità di alleanze coi dem alle Amministrative in alcuni territori, per mancanza di standard minimi di «legalità». Una presa di distanza netta che scava un solco con quella sempre più consistente parte del Pd che non vede l’ora di firmare il divorzio dai grillini. E a poco valgono le parole pacate di Letta, che replica a denti stretti: «Sarà per carattere, ma io guardo di più agli argomenti che ci uniscono. Sono tante le cose che ci uniscono». Le uova nel paniere si sono trasformate in frittata. E nel pomeriggio Mauro Laus, capogruppo dem in commissione Lavoro del Senato, e la collega di partito Valeria Fedeli abbandonano i lavori della Commissione in polemica con con la presidente M5S Susy Matrisciano. Pomo della discordia: il salario minimo, rilanciato da Conte come battaglia prioritaria in occasione del primo maggio e su cui i senatori rivendicano una primogenitura: «Non accettiamo più provocazioni da parte di Conte», scrivono in una nota i due dem. «Abbiamo chiesto alla presidenza di mettere al primo punto all’ordine del giorno delle prossime riunioni i disegni di legge sulla giusta retribuzione e sul salario minino, per arrivare finalmente all’approvazione di un testo contro il lavoro povero, che è per noi un’assoluta priorità», aggiungono, provando a togliere al Movimento un argomento identitario.
Ma basta poco che l’avvocato rilancia su ddl Zan, «da portare avanti», e ius scholae, sul quale votare contro sarebbe «un atto di barbarie». L’assalto grillino a tutto campo è partito. E forse davvero qualcuno vorrebbe il Movimento fuori dal governo, come dice Conte, ma non sembra che all’ex premier dispiaccia.