Mettere insieme tutti i partiti che si oppongono alla destra di Giorgia, e che neppure tutti insieme avrebbero la certezza di vincere, è molto difficile. Però mettere insieme i loro elettorati lo è anche di più, forse molto di più.

La proposta apparentemente bislacca di Dario Franceschini, tutti divisi alle elezioni ma con accordi di desistenza nei collegi maggioritari e al resto ci si pensa dopo il voto. Deriva da questa non peregrina considerazione. È dettata dalla disperazione.

Franceschini fa politica in prima fila da troppo tempo per non aver ben chiari gli enormi limiti di questa strategia. Da una parte un mucchio poco selvaggio di partiti senza conidivisione né del premier né del programma, dall’altro un centrodestra che ha sinora dimostrato nei fatti e nell’arco di decenni di essere invece unito nonostante tutte le divisioni. Se lancia una simile proposta, al netto di possibili e anzi probabili tensioni interne con la segretaria che lui più di chiunque altro ha contribuito a far eleggere, è come extrema ratio.

Il problema è che quella proposta smentisce in radice l’intera strategia della segretaria e anche per questo è difficile immaginare che non pesi anche una non conclamata ma nota divaricazione all’interno della maggioranza del Pd. Il Campo Largo di Schlein si colloca agli antipodi rispetto al “ciascun per sé e poi di vede” del suo grande elettore. Franceschini però prova a sgambettare anche il padre nobile per eccellenza, Romano Prodi. Anche Prodi vede indispensabile la nascita di un nuovo partito centrista: lui però lo vorrebbe saldamente collocato sin dall’inizio nel centrosinistra. Un nuovo Ulivo. La differenza tra la sua impostazione e quella della sua protetta che guida il Pd non è nella cornice ma nel quadro. Prodi immagina una coalizione molto più riequilibrata al centro di come la ipotizzi Elly, decisamente più sbilanciata a sinistra. Anche se certo un aiutino centrista, ma non tanto forte da condizionare e rimodellare l’identità del “suo” Campo Largo non le dispiacerebbe.

Insomma in campo ci sono tre modelli, due dei quali, sfumature politiche a parte, sono solidamente bipolaristi. Il terzo, quello di Franceschini, è invece proporzionalista ma essenzialmente per necessità. A Conte il modello Dario naturalmente piacerebbe molto e non a caso l’interesse un bel po’ bramoso del M5S è stato immediato. L’ “avvocato del popolo” potrebbe fare una corsa solitaria a tutto beneficio del palato molto schizzinoso del suo elettorato per poi, dopo il voto, alzare a piacimento la posta nelle trattative per la formazione di una maggioranza. Per lo stesso motivo a Elly l’idea fa invece venire l’orticaria.

Gli estremi per un estenuante dibattito come altri già visti, di quelli che lasciano di stucco gli elettori e dai quali il vincitore, chiunque esso sia, esce azzoppato, ci stanno tutti. Ma le parti in causa, tutte e tre però Franceschini più degli altri, fanno i conti senza l’oste. Il quale, in questo caso, si chiama legge elettorale. Su una cosa le forze politiche tutto sommato convergono: la nuova legge deve essere fatta entro questa legislatura. Dunque il pallottoliere che adoperano al momento tutti i distinti strateghi del Nazareno sarà da buttare. La maggioranza ha un’idea piuttosto precisa su come dovrà essere la nuova legge: ricalcata su quella per le regioni, un Regionellum. Significa voto proporzionale ma con vincolo di coalizione, premio di maggioranza oltre la soglia del 40%, indicazione del premier ( che è cosa diversa ma non poi troppo dall’elezione diretta veicolata dalla riforma costituzionale della premier).

La corsa deve ancora partire, anche se che parta è già certo. La legge che piace alla destra potrebbe non dispiacere neppure a Elly. Il guaio più grosso che ha di fronte, le resistenze aperte o nascoste, al Campo Largo subirebbero un ferissimo colpo. La strategia di Franceschini finirebbe seduta stante nella pattumiera, il miraggio autonomista di Conte la seguirebbe a ruota. A guardare bene, del resto, Giorgia ed Elly le arcinemiche un elemento di interesse comune ce l'hanno: appunto la rinascita e la blindatura del bipolarismo. Il punto nevralgico è non tanto il vincolo di coalizione quanto il premio al 40%, che il Pd considera un vantaggio clamoroso a favore della destra. Ma nel complesso l’interesse per la proposta è reale e inevitabile.

Per Schlein la medaglia ha il suo rovescio. Conte proverebbe senza dubbio ad alzare il prezzo, la galassia centrista, con o senza il nuovo partito che vagheggia Prodi, pure. Soprattutto una simile legge elettorale darebbe una spinta molto forte e forse decisiva alla riforma Meloni e non è certo questa l’intenzione della segretaria Schlein. Ma più che disquisire su come il Pd dovrebbe andare alle elezioni sarebbe opportuno che l’opposizione, e il partito di Elly in particolare, si concentrassero su quale legge elettorale vogliono. La partita si giocherà su quel tavolo.