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Due fotogrammi raffigurano il Paese nella giornata di ieri. Da un lato, l’ennesima puntata del litigio diventato cronico tra le due forze di maggioranza. Prevalgono toni da campagna elettorale a cui ci siamo assuefatti: si trascina, infinita, mese dopo mese, senza apparenti alternative. Nel frattempo - e di conseguenza - l’azione di governo si inceppa. Mentre il rimbombo cupo della recessione si fa assordante; le periferie si gonfiano di odio incendiario; famiglie di disperati vagano sui gommoni e chi li raccoglie non è un salvatore bensì un pericolo per la sicurezza dello Stato. Dal lato opposto, professioni che si mobilitano attorno a valori fondanti della convivenza civile: il rifiuto del linguaggio dell’odio; la difesa dello Stato di diritto; la tutela delle regole; il bilanciamento tra chi accusa e difende. E’ accaduto al Congresso forense di Roma, mentre parallelamente in Parlamento arriva la proposta di legge per inserire la figura dell’avvocato nella Costituzione. Due facce della stessa medaglia, due mondi che dovrebbero interloquire ma che invece il clamore delle differenziazioni politiche sommerge. Eppure non c’è alternativa. O si riannoda il filo che lega rappresentanza e società, istituzioni e cittadinanza, riavviando un circolo virtuoso di confronto e stimolo, oppure l’Italia perderà altro terreno sul fronte del progresso civile. C’è una marea enorme di competenze, professionalità, capacità, merito che non riescono ad avere rappresentanza politica oppure ce l’hanno troppo fioca e assai strumentalizzata. Al contrario, in quel segmento sta l’ossatura vera del Paese, spina dorsale che crisi economica e globalizzazione hanno calcificato nelle speranze e desertificato nelle opportunità. Lasciarli muti è uno spreco inaccettabile.