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Scandali, fallimenti e salvataggi, sospetti di corruzione e di interessi confliggenti. La strada della politica e quella delle banche in Italia si sono incrociate più volte e sempre con deflagranti conseguenze. La madre di tutti gli scandali, a 130 anni di distanza, è ancora la banca Romana, un fattaccio non solo senza precedenti ma anche senza epigoni di tali dimensioni che si prolungò per un paio d'anni, dal 1892 al 1894, coinvolgendo presidenti del consiglio, ministri e parlamentari vari. All'origine, proprio come nel 2008, una bolla immobiliare che aveva lasciato la banca con scoperti giganteschi, corroborati dall'abitudine a finanziare generosamente i pezzi da 90 del Palazzo dell'epoca. Ai tempi gli istituti con diritto di battere moneta erano 6 e la proposta della sinistra di concentrare l'emissione di moneta e il controllo sugli istituti bancari nelle mani di una sola Banca d'Italia, cadeva regolarmente nel vuoto.
Per coprire gli ammanchi di governatore della banca Romana, il senatore Tanlongo, suo figlio e l'amministratore dell'istituto si erano inventati un metodo geniale: facevano battere di nascosto moneta a Londra con la scusa di sostituire le banconote usurate, che lasciavano invece sul mercato. Tanlongo e l'amministratore, barone Lazzaroni, finirono in manette, i documenti più scottanti furono fatti scomparire con la complicità dell'autorità giudiziaria. Due presidenti del consiglio, Crispi e Giolitti, finirono alla sbarra ma il processo finì con una raffica di assoluzioni per insufficienza di prove. Le conseguenze ci furono lo stesso: fermare la nascita della Banca d'Italia diventò impossibile e Giolitti pagò il prezzo politico per tutti, a partire da Crispi che tornò presidente del Consiglio in pochi mesi, uscendo di scena per dieci anni.
Per un nuovo disastro simile ci vollero un paio di decenni e passa. La Banca italiana di sconto, Bis ma per gli amici ' la banca italianissima', fu costituita tra il 1914 e il 1915 dagli interventisti, con qualche appoggio francese, per contrastare i potere delle grandi banche legate alla Germania, la Commerciale e il Credito italiano. Era una banca per la guerra alla cui presidenza fu piazzato, senza concedergli peraltro alcun potere, Guglielmo Marconi. Nel capitale sociale l'Ansaldo dei fratelli Perrone, grande produttrice d'armi, era preponderante. Nel corso del conflitto la banca finì per finanziare sempre più gli investimenti dell'Ansaldo, la cui produzione bellica marciava a pienissimo regime. Gli aumenti di capitale necessari per concedere i prestiti erano a loro volta sottoscritti da Ansaldo, in una sorta di cerchio perverso destinato a spaccarsi quando, a conflitto finito, Ansaldo dovette riconvertire la produzione bellica. Fiat, che si trovava in situazione analoga, si salvò grazie all'acquisto del Credito italiano. Ansaldo provò a fare la stessa cosa con Comit ma non ci riuscì e a pagare il prezzo fu Bis, messa in liquidazione e furono i correntisti, rimborsati ma solo al 65% per cifre inferiori alle 5mila lire e al 75% per somme superiori.
Per un terremoti di magnitudo paragonabile anzi superiore bisogna aspettare gli anni ' 70 e la più torbida tra le crisi bancarie italiane, quella che coinvolse il finanziere Michele Sindona, il banco Ambiosiano di Roberto Calvi e lo Ior, la banca del Vaticano guidata dal discusso e discutibile cardinale americano Paul Marcinkus. Una storiaccia nella quale figura certamente Cosa nostra così come figura probabilmente la massoneria, finita con un morto, Sindona, avvelenato in carcere e un altro, Calvi, impiccato a Londra in un luogo non certo scelto a caso, il ponte dei Frati neri.
Ma le sofferenze che a tutt'oggi attanagliano il sistema bancario italiano e lo rendono il vero anello debole del sistema iniziano nel primo decennio del nuovo secolo. Una raffica di fibrillazioni, scandali, amicizie sospette, tentativi di scalate ambigui che coinvolge una miriade di banche e finisce per travolgere prima il ministro dell'Economia Siniscalco, che si dimette in polemica con la decisione del governo Berlusconi di difendere il governatore di Bankitalia Fazio, indagato per aver favorito l'amico Fiorani, amministratore delegato della Banca popolare italiana. Quando Fiorani ammette di fronte agli inquirenti di aver accumulato un tesoro di 70 milioni di euro a spese dei clienti della banca e di aver concesso prestiti agevolati a esponenti del centrodestra per blindare la posizione di Fazio, al governatore non resta che rassegnare le dimissioni.
Le banche sono state la pietra al collo di anche di Matteo Renzi. In realtà i governi di centrosinistra della scorsa legislatura si sono trovati a fronteggiare situazioni molto diverse: la crisi di quattro banche tra cui banca Etruria, del cui consiglio di amministrazione aveva fatto parte il padre di Maria Elena Boschi. Non ci fu salvataggio ma le perdite degli obbligazionisti furono consistenti e le accuse rivolte alla Boschi, sospettata di aver cercato di ' salvare' banca Etruria, inflissero un colpo micidiale alla popolarità del governo.
Formalmente, nel 2017, Veneto banca e Popolare di Vicenza non furono salvate ma rilevate per un euro da Intesa San Paolo, che in cambio ottenne cinque miliardi di aiuti dallo Stato e i crediti deteriorati vennero acquistati da una bad bank creata appositamente dal ministero dell'Economia, la Sga.
Salvataggio esplicito invece, grazie al semaforo verde della Ue, per Monte dei Paschi di Siena: costo dell'operazione 5,4 miliardi più cessione di 265 miliardi di crediti deteriorati al Fondo Atlante, formalmente privato anche se a capitale pubblico.
Sono questi precedenti che rendono così difficile per la base dell'M5S, che è sempre stato molto critico nei confronti dei salvataggi, accettare un passo che era in realtà obbligato e inevitabile come il salvataggio di Carige.