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Sarà solo una messinscena. Però fa impressione. Nel giorno in cui la commissione Giustizia della Camera dà un brusco colpo d’acceleratore sul ddl penale, i cinquestelle inaugurano una nuova tecnica parlamentare: il flash mob. Si presentano «in massa» davanti alla commissione Giustizia. Praticamente occupano gli uffici, o almeno i corridoi. Un solo grido: «Vergogna». Spiegazione del grido: «Prevedere un termine di prescrizione di 18 anni per i processi ai corrotti è troppo poco». Roba buona per facebook: pochi minuti e la clip dell’impresa è già sul profilo di Roberto Fico, comandante del plotone. Dietro di lui, deputati e senatori del Movimento issano i cartelli con i punti contestati della riforma. Che, per carità, va avanti.
Perché la presidente Donatella Ferranti e il governo pianificano uno sprint risolutivo e macinano qualcosa come 600 emendamenti, cestinati uno per uno. I quaranta grillini in corridoio manco riescono a finire il videoselfie che già i commessi piombano con la loro protocollare fermezza e dichiarano chiusa la ricreazione. Però è un’ennesima avvisaglia di do- ve può finire il Parlamento nell’era del Sacro Blog.
Governo e maggioranza riescono nel miracolo di chiudere in tre giorni la pratica del processo penale, sulla quale Palazzo Madama s’era adagiato per due lunghi anni. In Aula dovranno però fare i conti con l’ulteriore prevedibile show pentastellato. Gli slogan di ieri? Eccoli. «Ci sono tagli alle spese per le intercettazioni» ( in realtà viene solo introdotta una sorta di “costo standard” nei pagamenti alle società private che gestiscono server e assistenza da remoto).
Poi: «Intercettazioni, bavaglio alla stampa libera» ( altra fake news, semplicemente il pm evita che la polizia giudiziaria trascriva conversazioni non rilevanti ai fini dell’indagine nonché lesivi per la privacy di persone estranee ai reati). E ancora: «Skype ai mafiosi? No grazie» ( nella delega sul carcere c’è solo un generico richiamo ai «collegamenti audiovisivi sia a fini processuali sia per favorire le relazioni familiari», bisognerebbe come minimo aspettare i decreti). Il Movimento propone anche obiezioni condivise dall’Anm, come «la riduzione a 3 mesi dei tempi di chiusura delle indagini per corruzione e altri gravi reati». La famosa norma sul’avocazione obbligatoria. Che in realtà riguarda tutti i procedimenti, non solo quelli per corruzione. E comunque il limite dei 3 mesi è prorogabile altri 3. Se non è una fake news come minimo è una furbata.
Mentre i grillini assediano l’auletta della commissione, Forza Italia e Sinistra italiana abbandonano il campo: non partecipano più ai lavori dopo che già mercoledì sera gli emendamenti bocciati con parere negativo erano arrivati a quota 450. Ma la vera rivelazione del Vietnam di ieri pomeriggio è che davvero sulla giustizia penale non c’è possibilità di mediare. I tempi di prescrizione, una «truffa colossale» per i grillini perché appunto 18 anni per un processo di “corruzione propria” sono un’inezia, hanno portato i penalisti a scioperare per la ragione opposta, cioè perché quello stesso termine, secondo gli avvocati, è troppo lungo. Tutto sommato la bagarre finisce per disarmare chi, come il ministro di Ap Enrico Vcosta, vorrebbe «far sentire la voce dei moderati su questo». Il gruppo di Alfano sperava di rivedere la prescrizione al ribasso, ma i grillini urlano una verità uguale e contraria e si avvera la profezia di Andrea Orlando: meglio non toccare niente se no salta tutto.
Quando a inizio marzo il ministro della Giustizia incontrò Rita Bernardini per assicurarle che la riforma del carcere, inserita nel ddl, sarebbe andata in porto, fece due previsioni. La prima: «Al Senato ce la faremo in dieci giorni». Andò più o meno così. Ottimistica pure la seconda promessa: «... poi ci sarà un breve passaggio alla Camera, dopodiché subito potremo mettere mano ai decreti delegati». Ecco: breve, in effetti sembra esserlo, ma certamente il “passaggio” a Montecitorio si rivela più intenso del previsto. E in effetti se Costa, ministro della Famiglia ed ex vice dello stesso Orlando, spiega che «Ap non farà la comparsa», il capogruppo centrista in commissione, Nino Marotta, è costretto a subire l’impeto del Pd, che non concede mezzo emendamento. Resta da votare il mandato alla relatrice, che è la stessa presidente Ferranti, il 22 già si va in Aula.