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IMAGOECONOMICA
Il risveglio, dopo la dolce sonnolenza sarda, è di quelli che nessuna coalizione in fase di costruzione vorrebbe affrontare. Eppure l’Abruzzo costringe il centrosinistra - pardon, il campo largo - a tornare con le mani nel fango.
E non solo per la durissima sconfitta subita, raccontata come un sicuro testa a testa fino a poche ore prima della chiusura dei seggi, ma per il portato immediato di un tale risultato: la messa in discussione, per l’ennesima volta, dell’alleanza giallo-rossa allargata ai tanti cespugli della potenziale coalizione. Così, ciò che la Sardegna aveva messo a tacere - i tanti malumori interni e attigui al Partito democratico per l’intesa con i grillini - l’Abruzzo rischia di resuscitare.
Sette per cento. È questo l’argomento principe dei detrattori dell’alleanza tra Elly Schlein e Giuseppe Conte ed è la percentuale a cui il Movimento 5 Stelle è rimasto inchiodato alle ultime Regionali. Un po’ pochino, il 7 per cento, se paragonato all’imparagonabile 2019, quando i pentastellati capitanati ancora da Luigi Di Maio e col vento in poppa delle trionfanti Politiche dell’anno precedente, portarono a casa un sonoro 19,7 per cento al termine di una corsa solitaria. Il problema è che l’odierno 7 per cento abruzzese di Conte è poca cosa anche se messo a confronto con dati molto più recenti, come il risultato dei 5S alle Politiche 2022: il 18,5 per cento nel solo Abruzzo.
Più simile a un crollo verticale che a un trend negativo, l’appeal elettorale dell’ex avvocato del popolo sembra essere andato in crisi, soprattutto se confrontato alle performance dell’alleato dem. Il Pd di Schlein, infatti, si conferma primo partito dell’opposizione e migliora di appuntamento in appuntamento il proprio “rendimento”. Il 20,3 per cento ottenuto due giorni fa in Abruzzo è quasi il doppio dell’11,1 raggiunto cinque anni prima nella stessa regione e quasi quattro punti sopra il 16,6 per cento delle ultime Politiche. Nonostante la sconfitta, la segretaria ha sicuramente superato il test a pieni voti e può tirare un sospiro di sollievo, ringraziando «di cuore le nostri candidate e i candidati, insieme a tutti i militanti, per l’ottimo risultato ottenuto dal Pd».
Schlein poi aggiunge: «Continueremo a seminare, sappiamo che sarà un lavoro di costruzione paziente». Paziente e pieno di insidie, verrebbe da aggiungere, perché da dietro l’angolo l’artiglieria del fuoco amico è pronta già a sparare sui limiti del campo largo. La segretaria dem lo sa ma non intende arrestare un processo politico senza reali alternative, come sembra suggerire anche Romano Prodi, che mette in guardia gli eventuali malintenzionati: «Per coltivare un campo largo ci vogliono tanti contadini. Debbo dire che i contadini sono aumentati, parecchio, ma non sono ancora abbastanza, quindi, il campo largo va coltivato ancora ed è importantissimo che cresca come sta crescendo», dice il Professore, con lo sguardo evidentemente già rivolto al prossimo appuntamento elettorale.
A fine aprile, infatti, toccherà alla Basilicata andare alle urne per rinnovare Giunta e Consiglio regionali. Ed è qui che il Pd sta lavorando ai fianchi del proprio candidato, Angelo Chiorazzo, per convincerlo a fare un passo indietro per individuare un nuovo nome gradito anche al Movimento 5 Stelle. La partita si presenta parecchio complicata ma Schlein non intende rompere l’unità con Conte e condannare il centrosinistra a una sicura sconfitta anche in Lucania. Servirà lavorare di fino e disinnescare le mine sparse sul terreno da “compagni” e alleati in potenza. Ma Elly Schlein accetta la sfida.
Del resto, chi contesta l’idea stessa del campo largo non sembra offrire alternative seriamente percorribili. Come Carlo Calenda, che nel giorno della disfatta della coalizione di cui una volta tanto faceva parte esulta per il roboante 4 per cento ottenuto da Azione. Risultato lusinghiero, per chi parte da zero, ma non sufficiente a immaginare un futuro senza Movimento 5 Stelle. «Tralascio ogni commento relativo ai fantomatici campi larghi che non esistevano prima e non sarebbero esistiti neppure nel caso di una vittoria in Abruzzo. Ogni elezione regionale fa storia a sé ed è influenzata da dinamiche locali», commenta Calenda, che del resto pochi giorni fa si vantava di sostenere il centrodestra in Calabria.
Per il leader di Azione il campo più che largo può essere larghissimo. E a secondo della partita si può decidere da che parte giocare. Perché, dunque, porsi dei limiti? Per chi ha un perimetro ben definito, invece, è tempo di rimboccarsi le maniche e provare a ripartire. Da qui a giugno saranno ancora parecchi gli appuntamenti elettorali da affrontare. E a Schlein e Conte non sono consentiti altri passi falsi.