Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il Pd non ha mai trovato una posizione univoca, e continua a non farlo. Ieri, chiamato a votare una risoluzione di sostegno a Kyiv, il Parlamento europeo si è espresso compattamente a favore, con 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astenuti.

Gli europarlamentari dem hanno votato a favore, come tutto il gruppo dei Socialisti, tranne Cecilia Strada e Marco Tarquinio, che si sono astenuti. Hanno votato contro sia il M5S che i Verdi, così come la Lega.

Ma il punto chiave della risoluzione era l’articolo 8, che chiedeva la fine delle restrizioni per l’uso di armi da parte dell’Ucraina, dando così il permesso a Kyiv di utilizzare armi occidentali contro le basi russe.

In questo caso Elisabetta Gualmini e Pina Picierno hanno votato a favore, tutto il resto del gruppo contro. Tra questi Camilla Laureti, Annalisa Corrado, Alessandro Zan, Sandro Ruotolo, tutti vicini alla segretaria Elly Schlein, il capodelegazione Nicola Zingaretti, oltre a Antonio Decaro, Matteo Ricci e Brando Benifei. Picierno e Gualmini avevano reso pubblica la dichiarazione di voto via social. «Voterò a favore dell’articolo 8 che invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali - scrive Picierno, vicepresidente Pd dell’Europarlamento - consegnati all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo, che ostacolano la capacità dell’Ucraina di esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa secondo il diritto internazionale. Voterò convintamente in linea col gruppo dei Socialisti e Democratici».

Quindi Gualmini: «Sto dalla parte della democrazia e della difesa della libertà, non sto dalla parte dei Vannacci, dei Bardella, dei Patrioti e dei filoputiniani ormai presenti in dosi massicce al parlamento europeo». All’appello mancano diversi parlamentari dem che non hanno votato perché assenti, tra i quali gli ex sindaci di Firenze Dario Nardella e di Bergamo Giorgio Gori, il quale ha fatto sapere che avrebbe comunque votato a favore dell’articolo 8.

«Con il voto del Parlamento europeo che chiede la revoca alle restrizioni per l’uso delle armi occidentali in territorio russo siamo ad una svolta preoccupante e pericolosa - hanno affermato in una nota Nicola Fratoianni ed Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra - È una follia che porterà all’escalation della guerra fuori dai confini attuali».

Critico con il Pd anche il leader di Azione, Carlo Calenda, per il quale lo stesso voto da parte di Pd e M5S rispetto a quello del centrodestra certifica che «c’è una sola cosa bipartisan in Italia: non consentire all’Ucraina di difendersi colpendo gli obiettivi militari legittimi in Russia».

Contro l’articolo infatti anche tutti i partiti di centrodestra, con l’unica eccezione del forzista Massimiliano Salini. «Noi oggi voteremo “no” al Parlamento europeo all’emendamento che prevede l’utilizzo delle armi al di fuori del territorio ucraino, in sintonia con quello che ha sempre deciso il governo e anche in sintonia con le scelte del Consiglio Affari Esteri che non ha approvato la proposta di Borrell di usare le armi al di fuori del confine ucraino», aveva detto poche ore prima del voto il segretario azzurro Antonio Tajani.

Sia Forza Italia che Fratelli d’Italia, a differenza della Lega, hanno tuttavia votato a favore della risoluzione nel suo insieme. «La mozione votata dal Parlamento europeo è chiara e positiva: confermare il sostegno all’Ucraina che resiste alla illegale e brutale invasione putiniana e togliere le restrizioni all’uso delle armi fornite a Kyiv per poter colpire obiettivi e basi militari in Russia, da dove partono quotidianamente attacchi aerei contro civili e infrastrutture in Ucraina - ha scritto il deputato di + Europa Benedetto Della Vedova - Come purtroppo già accaduto in passato, gli europarlamentari italiani hanno votato in maggioranza contro la fine delle restrizioni all’uso delle armi, compresi FdI e Pd ( con sole due, per me lodevoli, eccezioni)». Sottolineando poi come «le opposizioni sono divise, ma è evidente che il voto della Lega apre una questione ineludibile alla maggioranza e al Governo Meloni».