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Una cerimonia a Palazzo Chigi
È una pausa che ha il sapore di una tregua, quella sancita ieri dallo svolgimento dell'ultimo Consiglio dei ministri della stagione, consacrato all'approvazione di un Dl Omnibus prevalentemente consacrato a questioni fiscali. Ma basta capire alcune reazioni a ciò che la riunione dell'esecutivo ha rimandato, piuttosto che a quello che ha approvato, per capire che si è trattato di un appuntamento dal sapore tecnico, visto che i dossier politicamente più scottanti sono stati per ora accantonati. E soprattutto, non si è verificato almeno in forma palese – quel vertice di maggioranza a tre che avrebbe dovuto sciogliere i nodi più urgenti, in vista dell'autunno caldo dominato dalla sessione di bilancio sotto i redivivi vincoli europei, dalla partita del rinnovo dei vertici Rai e, dulcis in fundo, dalla triplice tornata elettorale regionale che si incrocerà col culmine della campagna referendaria delle opposizioni e dei suoi governatori contro l'autonomia differenziata.
Nell'ultimo scorcio di stagione la premier Giorgia Meloni ha badato molto a coprire il fianco destro, preoccupata dall'attivismo dei sovranisti a Strasburgo e del leader leghista Salvini a Roma, per non fare concessioni elettorali ai suoi competitori alle Europee. L'operazione, si può dire, è riuscita, poiché Meloni è risultata l'unico premier di un grande paese Ue il cui partito ha avuto una performance soddisfacente, ma soprattutto Fratelli d'Italia si è confermata prima forza politica nazionale. Per ottenere questo risultato, sono state intraprese delle azioni che, a dispetto del loro vantaggio politico, potrebbero però avere un costo economico per l'Italia. Probabilmente il no alla rielezione di Ursula von der Leyen non ostacolerà l'assegnazione al nostro paese di un commissario Ue di peso, un atto dovuto a un membro fondatore e col peso specifico dell'Italia, ma un atteggiamento rigido di Bruxelles potrebbe fare la differenza e mettere in seria difficoltà il governo Meloni.
In quest'ottica, è esemplare ciò che sta accadendo coi balneari: nel Consiglio dei ministri - in parte era stato anticipato – non è arrivato il decreto che avrebbe dovuto mettere nero su bianco un compromesso almeno temporaneo con l'Ue, che chiede da anni l'applicazione della direttiva Bolkestein e che, dopo l'ultima lettera inviata, minaccia ormai di ricorrere alla Corte di Strasburgo. La difesa dei balneari (assieme ad altre categorie come i taxisti e gli agricoltori), come è noto, è stato uno dei pilastri della parte economica della campagna elettorale che ha portato Meloni a Palazzo Chigi. Il nodo, però, ora sta venendo al pettine, e la replica del ministro Fitto di ieri ai cronisti che lo incalzavano la dice lunga su quello che potrà accadere
su questo e altri fronti: Fitto ha parlato di un «confronto sul parere motivato della Commissione europea che va avanti, con le sue complessità». Complessità determinata anzitutto dal fatto che l'interlocutore italiano di Bruxelles – cioè lui – è la stessa persona che dovrebbe entrare a far parte dell'esecutivo dell'Unione, e quindi non può mettersi apertamente dalla parte di chi osteggia le misure europee. Fonti di Palazzo Chigi rispondono che «in una delle prossime riunioni del Cdm» arriverà un provvedimento capace di sistemare la cosa almeno per un po', ma questa affermazione ha finito per innescare le proteste dei balneari (che si sentono traditi e hanno proclamato la serrata degli ombrelloni per domani mattina) e le critiche delle opposizioni, rapide a incunearsi nelle esitazioni della maggioranza. Ma quello che impensierisce maggiormente la presidente del Consiglio, è l'atteggiamento che Matteo Salvini, tra i promotori del supergruppo sovranista assieme a Viktor Orban e Marine Le Pen, assumerà rispetto alla questione.
Questo, come si diceva, per quanto sostanzioso è solo l'antipasto della partita della manovra: le nuove regole di bilancio varate dall'Ue prevedono che a fine settembre l'Italia presenti a Buxelles un “piano strutturale” per il medio termine in cui, sostanzialmente, si spieghi come Palazzo Chigi ha intenzione di rientrare nei vincoli di bilancio sospesi con la pandemia e reintrodotti dal nuovo Patto. Poi, a metà ottobre, ci sarà il varo della manovra e la successiva sessione di Bilancio. Ma il dibattito sulle risorse a disposizione e su ciò che dovrà essere fatto per garantire le misure ritenute imprescindibili dal governo (a partire dalla conferma del taglio del cuneo) è già vivo, come testimonia quanto detto dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ieri a Palazzo Chigi, rispetto al presunto tesoretto di 10 miliardi che «è una bella storia» e all'intenzione di non tassare gli extraprofitti bancari e assicurativi, evitando così un fronte di conflitto con Forza Italia. La coperta, a questo punto, sia dal punto di vista pecuniario che politico, appare decisamente corta.