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Maria Elisabetta Alberti Casellati
Una settimana fa Elisabetta Casellati, prima donna presidente del Senato nella storia italiana, ha preso carta e penna e ha scritto al suo omologo, il presidente della Camera, Roberto Fico. Una missiva privata, i cui contenuti sono però rapidamente trapelati. Con la missiva, la seconda cittadina dello Stato chiedeva a Fico di garantire un più sollecito invio alla Camera alta dei decreti governativi approvati a Montecitorio, «certa che con la reciproca collaborazione» si potrà rinsaldare quella centralità del Parlamento che i presidenti dei due rami del medesimo «sono tenuti a valorizzare e promuovere».
Il senso del passo di Elisabetta Casellati è evidente: troppo spesso i decreti in scadenza arrivano nell'ultimo momento utile, costringendo così il Senato ad approvarli, per evitare che scadano, senza poterli esaminare e modificare. Subito dopo aver scritto a Fico, del resto, è stata lei stessa a chiarire le ragioni della sua battaglia, con un monito rivolto in questo caso, pur non nominandolo apertamente, al governo: «Il Parlamento va rispettato. I senatori e i deputati vanno rispettati: vanno ascoltate le loro idee e va difeso il loro diritto a esprimerle dai banchi dell'Aula».
A innescare l'offensiva della presidente è stato in tutta evidenza il pasticcio della legge di bilancio che per la seconda volta consecutiva è stata approvata da una delle Assemblee in forma, appunto, ' blindata'. Montecitorio non ha potuto apportare alcuna modifica: in caso contrario la legge di bilancio sarebbe dovuta tornare al Senato per una nuova lettura, con il rischio di sforare i termini fissati per legge e dover ricorrere all'esercizio provvisorio.
Ma anche a palazzo Madama, dove invece la manovra ha potuto essere discussa ed emendata, il testo era arrivato con forte ritardo, costringendo i senatori a un lavoro meno meticoloso e approfondito di quanto la legge per definizione più importante di tutte avrebbe meritato. a stessa presidente Casellati il 17 dicembre scorso, nel tradizionale incontro con la stampa di fine anno, aveva denunciato l'esproprio di fatto delle prerogative del Parlamento da parte del governo: «Dobbiamo preservare la centralità del Parlamento, che è sempre più spesso compressa».
Con sei legislature alle spalle, l'avvocatessa di Rovigo eletta per la prima volta al Senato con Forza Italia nel 1994, già sottosegretaria alla Sanità e alla Giustizia e membro laico del Csm tra il 2014 e il 2018, sa perfettamente che il problema non è nato con i due governi Conte e lo ammette senza perifrasi: «Non si tratta di un problema riferibile esclusivamente a questa legislatura, ma negli ultimi anni la questione dei tempi di esame dei disegni di legge di iniziativa governativa sta assumendo dimensioni che, come presidente del Senato, non posso non ritenere quanto meno preoccupanti» .
Il numero uno di palazzo Madama non può esprimersi con parole più forti: ma in realtà si tratta di un classico esercizio di understatement. Lo slittamento della centralità del sistema politico dal potere legislativo, cioè dal Parlamento come fissato dalla Costituzione, a quello esecutivo, cioè al governo, ha già assunto da un bel pezzo proporzioni molto più che preoccupanti. Nella scorsa legislatura 282 leggi varate su un totale di 379, inclusi quasi tutti i provvedimenti più rilevanti, sono state di iniziativa del governo.
La tagliola composta da un lato dalla decretazione da parte del governo, pur in assenza dei requisiti che dovrebbero essere obbligatori «di necessità e urgenza», e dall'altro dal voto di fiducia ha di fatto sottratto alle Camere buona parte delle loro prerogative da ben prima delle elezioni del 2018. E' vero però che il problema, invece di attenuarsi peggiora sempre più e all’accoppiata decretazione- fiducia, si aggiungono i ritardi che impediscono al Parlamento di intervenire con piena cognizione di causa e a volte, come nel caso clamoroso delle due ultime leggi di bilancio, impongono addirittura il silenzio a uno dei due rami.
La stessa decisione della Casellati che ha provocato le maggiori e più rumorose proteste da quando è stata eletta alla presidenza di palazzo Madama nel marzo 2018 risponde in realtà alla stessa logica: il tentativo di contrastare il progressivo e crescente svuotamento dei compiti del Parlamento. Nel dicembre scorso la presidente ha giudicato non ammissibili una serie di emendamenti del governo alla legge di bilancio, tra cui quello sulla cannabis light.
Come senatrice Elisabetta Casellati è certamente una moderata le cui opinioni sono note. In questo caso, però, la presidente si è trovata effettivamente di fronte a una serie di emendamenti che, se ammessi oltretutto all'ultimo momento, avrebbero costituito una ulteriore forzatura ai danni del Parlamento, dal momento che, incalzato dalla minaccia dell'esercizio provvisorio, il Senato non avrebbe potuto fare altro che approvare l'intero pacchetto con il voto di fiducia. Si può non essere d'accordo con la Casellati nel merito del provvedimento sulle droghe leggere, ma non con la sua osservazione di metodo: «Chi tiene alla norma sulla cannabis deve proporre un disegno di legge».
In realtà il compito principale dei presidenti delle Camere dovrebbe essere proprio impegnarsi per ripristinare e difendere la centralità del Parlamento. Va da sé che per i presidenti di maggioranza, pressati dal governo e dai partiti della coalizione al potere perché non pongano ostacoli, il compito è più difficile. Ma è anche vero che neppure i presidenti provenienti dall'opposizione hanno sin qui fatto molto per evitare che il Parlamento venga ridotto a una scatola vuota. La presidente del Senato è scesa in campo con questa bandiera e comunque si giudichi il suo schieramento politico non si può che augurarsi che vinca la sua battaglia.