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Al Senato prosegue l'odissea del ddl Zan contro la transomofobia. Bloccata per settimane dall'ostruzionismo del presidente leghista della commissione Giustizia la legge, già approvata alla Camera, potrebbe sbloccarsi ed essere calendarizzata grazie alla “mediazione” di Italia viva che propone modifiche sostanziali. In questo caso la legge dovrà tornare alla Camera e i tempi di approvazione slitteranno di parecchio.
La favola che finge di vedere contrapposti i progressisti in difesa dei diritti da una parte e i reazionari omofobi è bugiarda. La legge è stata duramente criticata da personalità come Luigi Manconi, la presidente Pd della commissione Femminicidio Valeria Valente, una delle principali femministe storiche dello stesso partito come Francesca Izzo ma anche da molte voci sia femministe e lesbiche che garantiste. Nel merito le critiche a una legge a dir poco ambigua sui reati di opinione e grossolana nella indicazione dell' “identità di genere”, al punto che sembra basti dichiararsi donna per dover essere considerata tale a tutti gli effetti, sono del tutto comprensibili e giustificate, anzi giuste.
Nel metodo però le cose stanno diversamente. Il capogruppo della Lega Romeo, infatti, pretende di far valere, a proposito di questa legge come di quella sulle fake news, anch'essa già approvata dalla Camera e tanto discutibile quanto quella sulla transomofobia, una sorta di vincolo di maggioranza. Il Parlamento dovrebbe cioè evitare di affrontare le leggi sulle quali la maggioranza è divisa, limitandosi di conseguenza a discutere e ratificare quelle provenienti dal governo. Una visione che porterebbe a compimento una sottrazione del potere legislativo all'istituzione che dovrebbe secondo la Costituzione esserne unica titolare, il Parlamento, che è in realtà già molto avanzata. Le due leggi in questione sono effettivamente leggi che devono essere rivedute e modificate ma senza che si possa far valere un vincolo di maggioranza sempre sbagliato ma molto più che mai a fronte di una maggioranza non politica come quella che sostiene il governo Draghi.
La pretesa, inoltre, confligge frontalmente con lo schema indicato dallo stesso premier al momento della nascita del suo governo. L'esecutivo si sarebbe dovuto occupare di alcuni temi fondamentali ma comunque circoscritti: la gestione della pandemia, la vaccinazione, il Pnrr, cioè l'uso del Recovery Fund, e le riforme strutturali necessarie per garantire il buon uso di quel fondo. Tutto il resto sarebbe stato invece competenza del Parlamento, sottratto quindi al vincolo di maggioranza che è invece necessario per le scelte del governo.
In una situazione come quella che l'Italia sta vivendo, quello schema era in realtà l'unico modo per andare avanti senza commissariare e “congelare” il Parlamento. O meglio lo sarebbe stato perché il precedente della legge Zan e la rottura della fragile tregua iniziale che ha già reso la maggioranza un campo di battaglia rendono quell'ipotesi non praticabile. Col tempo le cose peggioreranno. Sia perché dai primi di agosto l'inizio del semestre bianco permetterà di muoversi senza esclusione di colpi, non essendoci più il rischio dello scioglimento delle Camere, sia perché la tornata delle amministrative sarà a quel punto incombente.
Sarebbe comunque grave perché un Parlamento commissariato per uno o due anni e già dissanguato non è un buon presagio per il futuro prossimo. Ma lo è tanto più perché tra le materie delle quali dovrebbe occuparsi il Parlamento ci sono la legge elettorale e i correttivi alla riforma costituzionale voluta dai 5S. Senza una legge adeguata e senza quei correttivi la prossima legislatura potrebbe trovarsi in una situazione ancora più confusa di quella già estrema nella quale versa sin dal primo giorno quella attuale con in più un rischio fortissimo di delegittimazione, dovuta perché l'effetto combinato della riforma costituzionale non corretta e di questa legge elettorale sarebbe uno scarto massiccio tra la misura della rappresentanza parlamentare e quella dei consenso reale.
La crisi sanitaria, con la sua urgenza assoluta, e quella economica, che già morde a fondo e lo farà di più dopo l'estate, finiscono giocoforza per far dimenticare che l'Italia si trovava già prima dell'arrivo del Covid 19 in una profondissima crisi politica e istituzionale. Non è stata neppure affrontata e quasi certamente non lo sarà nei prossimi mesi. Resta in paziente e vorace attesa all'uscita dal tunnel della pandemia, a braccetto con quella economica e sociale.