La recente conversione del ddl Sicurezza, presentato alla Camera a gennaio 2024 e fermo al Senato da ottobre dello stesso anno, nel decreto legge Sicurezza, ha riacceso il dibattito relativo alla legislazione d’urgenza e al suo abuso da parte degli esecutivi.

«Il Parlamento è mortificato, l’opposizione non è in grado e non può dire la sua. Una deriva davvero preoccupante per la nostra democrazia». Sono parole pronunciate da Giorgia Meloni nel 2021 quando l’allora governo Draghi sottopose quattro voti di fiducia nel giro di 48 ore, anche per forzare la conversione in legge di alcuni decreti, ai tempi della pandemia.

Quattro anni più tardi, a emergenza cessata, il governo Meloni si guadagna a pieno merito un posto sul podio dei governi che nelle ultime legislature hanno fatto maggiore ricorso alla legislazione d’urgenza, con un ritmo di 3.06 decreti legge al mese. Prima dell’attuale governo hanno fatto ‘ meglio’ solo gli esecutivi guidati da Conte, nella sua composizione giallo- rossa, con una media di 3.07 e Draghi ( anch’esso con 3.07), come rilevato dalla Fondazione Openpolis.

IMAGOECONOMICA
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GIORGIA MELONI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (IMAGOECONOMICA)

I decreti legge sono provvedimenti legislativi adottati dal governo in casi straordinari di necessità e urgenza. Emanati dal Presidente della Repubblica e pubblicati in gazzetta ufficiale, entrano in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione. Dovranno poi essere convertiti in legge nei successivi 60 giorni, pena la perdita di efficacia sin dalla loro pubblicazione. Il Parlamento può comunque regolare con una legge ad hoc i rapporti giuridici sorti sulla base di un decreto legge. Nel tempo l’abuso dei dl è divenuta una prassi bipartisan, adottata sia da governi di destra che di sinistra. La necessità di gestire l’emergenza pandemica ha comportato un innalzamento della tolleranza rispetto al fenomeno, la fine dello stato di emergenza però non ha sancito il ritorno agli standard pre- pandemici.

Dopo aver criticato dai banchi dell’opposizione l’eccessivo ricorso a detto strumento legislativo, da parte dei diversi esecutivi succedutisi nel corso delle ultime quattro legislature, la presidente del Consiglio, in base a quanto accertato da Pagella Politica, appena varcate le soglie di Palazzo Chigi è partita di gran carriera. Nel periodo compreso tra il 22 ottobre 2022 e il 13 gennaio 2023, ha presentato 15 decreti legge al Parlamento per la loro conversione in legge, raggiungendo il primato fra tutti i suoi predecessori, nessuno nello stesso lasso di tempo era stato così prolifico prima di lei.

Dopo lo sprint iniziale l’esecutivo non ha ceduto il passo, proseguendo nella produzione di decreti legge alla stessa cadenza dei governi che hanno dovuto fronteggiare l’emergenza pandemica. Fino ad oggi il governo Meloni ha adottato 92 decreti legge, 9 dall’inizio dell’anno, di questi 92, 75 sono stati convertiti in legge, tra di essi 9 non erano stati convertiti in tempo e sono decaduti, ciononostante sono stati salvati grazie alla pratica dei decreti “minotauro”, vale a dire di una tecnica che permette di inglobare un dl destinato alla decadenza nella legge di conversione di un altro decreto legge, che lo abroga salvandone però gli effetti. Ad esempio il dl paesi sicuri è stato salvato dalla legge di conversione 187/ 2024 del dl 145/ 2024 in tema di flussi migratori e caporalato.

Questa pratica comprime ulteriormente gli spazi deputati al Parlamento per la disamina dei contenuti. Detta prassi è stata criticata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, già nel 2021: «Avverto la responsabilità di sollecitare nuovamente parlamento e governo ad assicurare che, nel corso dell’esame parlamentare, vengano rispettati i limiti di contenuto dei provvedimenti d’urgenza». Sollecito rimasto evidentemente inascoltato.

Un altro aspetto meritevole di menzione è l’interregno tra la deliberazione di un decreto e la sua entrata in vigore, ossia tra l’approvazione in consiglio dei ministri e la pubblicazione in gazzetta ufficiale. Capita infatti che il governo si prenda del tempo per la revisione del testo deliberato, il che può portare anche a modifiche significative del testo.

L’esecutivo odierno in media si riserva 4,7 giorni tra l’approvazione di un dl in consiglio dei ministri e la sua pubblicazione in gazzetta ufficiale. Seppur si possa considerare fisiologico l’intervallo di alcuni giorni tra delibera e pubblicazione, 18 decreti sono stati pubblicati con uno scarto pari o superiore agli otto giorni. È stato il caso del dl Milleproroghe, per il quale sono trascorsi ben 18 giorni tra delibera e pubblicazione in gazzetta, del dl governance piano Mattei (12 giorni) del dl rafforzamento capacità amministrativa (16 giorni) e del dl ponte sullo stretto (15 giorni). Il problema che ne scaturisce è quello della trasparenza, in quanto non è chiaro quale sia il processo di modifica delle norme né chi abbia potere d’intervento sulle stesse.

Venendo poi all’incidenza dei decreti leggi nella produzione legislativa dell’attuale esecutivo si rileva la preferenza dello stesso per la legislazione d’urgenza. Il governo Meloni ha infatti superato, per numero di decreti leggi convertiti, il IV governo Berlusconi, con 75 leggi di conversione contro le 74 dell’ultimo esecutivo guidato dal Cavaliere. Le leggi ordinarie approvate, senza contare le ratifiche dei Trattati internazionali generalmente poco divisive e approvate spesso in blocco, sono anch’esse 75. Pareggio che dimostra il largo utilizzo dei decreti legge da parte del governo Meloni.

L’assuefazione a questa prassi potrebbe portare ad una pericolosa deriva, che rischia di esautorare il ruolo del Parlamento, tramite lo scivolamento da uno stato di emergenza, temporaneo, a uno stato di eccezione, strutturale.