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Désolés. O come diremmo in italiano, ' Scusateci tanto'. Firmato Le Monde. Non è vero, prosegue la rettifica pubblicata dall’autorevole testata tanto sul cartaceo quanto sul sito, che monsieur Silvio Berlusconi era sceso «a patti con la Piovra», come segnalato dal quotidiano il 4 agosto 2015, e neppure che «trattava con Cosa nostra», come ribadito il 10 luglio scorso. Chiacchiere. La realtà, buttata lì nero su bianco ieri, è che «le sentenze definitive reputano che non esista prova alcuna che Fininvest e M. Berlusconi abbiano potuto beneficiare di capitali di origine mafiosa».
E’ probabile che le plateali scuse servano a evitare un causa che avrebbe colpito il quotidiano nella borsa oltre che nell’onore, ma il risultato non cambia. M. Berlusconi segna un punto importante nella sfida che ha ingaggiato ormai da qualche anno per ricostruire da capo a piedi la propria immagine nei salotti europei, oltre che italiani, che contano.
Si tratta in realtà di una doppietta messa a segno nel giro di tre giorni. Tanti ne sono passati da quando Bill Emmott si è rimangiato in un’intervista al Corriere della Sera il parere tassativamente negativo esposto 17 anni fa sull’Economist, il giornale che allora dirigeva. La celebre copertina del settimanale inglese accompagnava la foto del Cavaliere con un titolo definitivo: «Perché è inadeguato a guidare l’Italia».
Oggi Emmott dichiara che invece l’inadeguato potrebbe essere «il salvatore della Patria». L’ex direttore, per la verità, assicura che il suo giudizio sull’uomo di Arcore non è cambiato. Le circostanze invece sì e oggi proprio Berlusconi «potrebbe essere determinante per formare una coalizione centrista».
Persino il Financial Times, che tra tutte le testate estere è stata per decenni la più severa con il leader di Forza Italia, ha lievemente abbassato i toni rispetto a quando, dopo la condanna del 2013, titolò impietoso: ' Cala il sipario sul buffone di Roma'. La sterzata dei media internazionali fa eco a quella dell’establishment europeo. La strategia di Berlusconi, che punta a imporsi come leader moderato e ' antipopulista', sin dalle elezioni del 2013, è stata di fatto premiata. Se la Corte di Strasburgo, ancora molto sensibile agli umori di Angela Merkel, dovesse dichiarare illegittima la sua cacciata dal Parlamento per il condannato del 2013 sarebbe un vero e proprio en plein.
In realtà è probabile che la stessa Angela Merkel potrebbe oggi far proprie le parole di Bill Emmott. A essere cambiata è la situazione complessiva più il suo giudizio sull’uomo che nel 2011 lei e l’allora presidente francese Sarkozy quasi seppellirono con quella fatale e umiliante risatina in conferenza stampa. Nel nuovo quadro Silvio Berlusconi non è più la minaccia ma la diga. Aver saputo cogliere al volo l’occasione, intravedendola in anticipo, è l’arte dell’uomo, che quando si tratta di vendere qualcosa, immagine inclusa, resta insuperabile.
Il punto debole del supporto internazionale di cui gode oggi il leader che proprio sullo scenario europeo registrava ai tempi d’oro il punto più debole, un po’ paradossalmente, è proprio un successo dell’operazione che potrebbe andare oltre le previsioni. Come Emmott afferma chiaramente l’establishment europeo preferisce di gran lunga un Berlusconi alleato di Renzi, forte sufficiente per tenere il ragazzo di Rignano a bada ma non per fare a meno di lui, che non un Berlusconi in grado di vincere le elezioni con una coalizione che conta al proprio interno una delle forze contro le quali Arcore dovrebbe fare da diga, come la Lega di Salvini.
Per questo, di qui alla chiusura delle urne la sera del 4 marzo, Berlusconi dovrà riuscire a di- mostrare, nel fuoco della campagna elettorale, di essere capace di fare da perno a uno schieramento sociale oltre che politico moderato anche qualora la sua destra vincesse le elezioni. I salotti buoni lo hanno già individuato come uomo giusto per governare con Renzi frenando gli ardori del fiorentino. Ma ora che una vittoria della destra sembra tutt’altro che impossibile deve dimostrarsi capace di esercitare lo stesso ruolo anche nei confronti dell’ ' altro Matteo', quello lombardo.