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Neppure con le previsioni più cupe e pessimiste era possibile immaginare che lo sfilacciarsi di una maggioranza posticcia e messa insieme solo per evitare la comune sconfitta elettorale prevista procedesse con tanta folgorante velocità.
Che si svolga effettivamente o meno, il vertice- assemblea di oggi, a partire proprio dall’incertezza sulla sua effettiva convocazione, raffigura l’immagine plastica di un governo finito in panne dopo i primissimi chilometri di marcia.
Di fronte a problemi economici, sociali e politici ciclopici, infatti, il vertice è stato pensato nella consapevolezza della sua inutilità se non come strumento mediatico. La stessa convocazione di massa ( 40 tra ministri, sottosegretari e capigruppo ma senza i leader di partito) risponde a una logica precisa: più siamo, meno è facile che finisca a botte ( virtuali).
Vertice o non vertice, i nodi che la maggioranza dovrebbe sciogliere per non esserne strangolata sono due, rinviando il terzo nodo, quello della giustizia, alle prossime settimane.
Uno è la crisi industriale, che va oltre l’Ilva ma della quale l’Ilva è senza dubbio la linea del fronte. L'altro è la manovra, non solo e non tanto scomposta nei singoli provvedimenti e nei relativi scontri ma nella visione politicamente complessiva che, alla fine, restituirà della maggioranza e del governo.
Sono questioni intrecciate, ma strutturalmente diverse. Per quanto riguarda l’Ilva, il rischio, tutt’altro che remoto, è di non riuscire a venirne fuori. Conviene chiarire i termini del problema, confusi deliberatamente da una buona dose di disinformazione che imperversa da giorni. Non è in campo alcuna cordata alternativa ad ArcelorMittal, la nazionalizzazione è fuori discussione e anche il ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti, nelle condizioni date, è molto più vicina a un miraggio che non a un'ipotesi concreta. La sola via percorribile è sedersi al tavolo con Mittal, che grazie a un emendamento folle votato senza alcuna convinzione da Pd e renziani solo per non far cadere il governo ha ora il coltello dalla parte del manico. Può chiedere gli esuberi e su quelli si deve e si può trattare.
Ma lo scudo penale è la precondizione.
La minaccia di causa legale con penale altissima è invece concreta e potrebbe essere efficace. Ma solo dopo aver ripristinato lo scudo penale, senza il quale Mittal ha la quasi certezza di vincere la causa.
Di conseguenza, lo scudo penale è precondizione per tentare di evitare la chiusura dell’Ilva e di questo nel Pd come in Italia Viva e nelle stesse istituzioni, a partire dal Quirinale, sono convinti tutti. Lo sa benissimo il premier Conte e lo sanno i più lucidi esponenti dell’M5S. Tuttavia quella precondizione resta inesaudita perché proprio l’M5S rischierebbe di spaccarsi e di conseguenza il governo sarebbe a rischio immediato.
La conseguenza è di fatto la paralisi, nonostante il Colle sproni invece, sia pur discretamente, a fare presto, sia sull’Ilva che su Alitalia. L'acciaieria di Taranto è infatti un caso macroscopico ma non isolato. Whirlpool è già andata. Alitalia è in stallo e non è affatto escluso che, dopo l'accordo Fiat- Peugeot, si apra un fronte incandescente negli stabilimenti Fiat.
La crisi industriale ha colto il governo di sorpresa e, di conseguenza, ha fatto emergere con straordinaria immediatezza le differenze strutturali all’interno della maggioranza e ha prodotto la paralisi, spesso travestita da falso movimento.
Sulla manovra, invece, la paralisi non è possibile. La legge di Bilancio deve arrivare in porto e ci arriverà. Il quesito, in questo caso, non riguarda il ' se' ma il ' come'. Scopo del supervertice, sarebbe quello di limitare gli scontri fratricidi, il cui effetto è un crollo di fiducia nel governo stesso, in modo di non arrivare a gennaio in stato già comatoso.
E’ anche questa una missione quasi impossibile, e per le stesse ragioni che impediscono almeno di affrontare, se non di risolvere, il nodo Ilva e crisi industriale.
I partiti della maggioranza hanno non solo identità ma anche interessi tattici opposti. Sul fronte della manovra il problema principale è Renzi, che deve indicare negli alleati ' il partito delle tasse' e in se stesso il nemico di quel partito. Dunque deve dare battaglia su ogni micro- inasprimento fiscale, in modo da accreditarsi il merito di ogni tassa in meno e addossare ai soci la colpa per quelle che invece non saranno tolte.
In questo modo il doppio sogno di uscire dalla manovra con un’immagine compatta e senza passare per governo delle tasse allo stato è destinato a diventare un miraggio. Doppio.