L’Emilia- Romagna e l'Umbria non sono l'Italia. Una è la roccaforte del Pd per eccellenza, l'altra la terza regione rossa, espugnata cinque anni fa grazie agli scandali e riconquistata ora. Parlare di avviso di sfratto al governo è al momento del tutto fuori luogo. Ma un dato invece emerge da questa tornata elettorale d'autunno, identico anche dove il centrosinistra è stato sconfitto, in Liguria, dunque chiaro e incontrovertibile: il Pd, che appena due anni fa sembrava destinato a una più o meno lunga agonia sul modello di quasi tutte le forze socialdemocratiche europee è invece risorto e in pienissima salute. È merito della segretaria a sorpresa Elly Schlein e bisogna riconoscerglielo.

La segretaria outsider ha ridato al suo partito una fisionomia, e forse bisognerebbe dire che per la prima volta dalla sua fondazione quel partito inizia ad avere una propria identità, ma lo ha saputo fare senza arrivare a spaccature insanabili con le aree interne attestate su una linea diversa e con i potentati locali, i cacicchi, dei quali il Pd non può fare a meno. Il risultato brillantissimo ottenuto in tutte le elezioni d'autunno è in parte sostanziosa merito delle preferenze, territorio privilegiato di grandi e medi cacicchi. Il massimalismo della segretaria è questione più di facciata che di sostanza. La vittoria è una rosa con le sue pungenti spinge però. Il Pd ha letteralmente vampirizzato tutti gli alleati, e in questo caso, almeno in Emilia e in Umbria anche se non in Liguria, sta a dire l'intero spettro dell'opposizione: il Campo larghissimo. I centristi non esistono e molto difficilmente esisteranno in tempi prevedibili. Quello spazio è già completamente occupato a destra da Forza Italia, che in Emilia stenta ma in Umbria galoppa e supera ovunque la Lega, e a sinistra dallo stesso Pd, nonostante la svolta radicale della sua attuale leadership. A sinistra però il quadro è appena meno disastroso, con Avs in fase di rapido restringimento dopo l'exploit delle europee e il M5S ridotto ai minimi termini. Nel Campo, largo o stretto che sia, c'è un abete che svetta e intorno cespuglietti secchi e desertificati. Tutto ciò pone a Elly una serie di problemi diversi.

Il primo è il punto interrogativo su come reagirà il M5S, traversato anche da uno scontro interno che riguarda di striscio il gruppo dirigente, stretto intorno a Conte, ma ben più reale nella base elettorale. Ma a conti fatti il problema non è tanto quanto peseranno e quanto incideranno i nemici di Conte, a partire dal fondatore detronizzato Grillo. Il punto critico è proprio Conte. L'ex premier, a differenza di Avs, non si è mai rassegnato a dover giocare il ruolo un po' mesto del cespuglio. Mirava alla leadership della coalizione e quel miraggio è svanito davvero, ancor più che con le europee, proprio in questa tornata elettorale. Se, come e fino a quando Giuseppe Conte, ex “insostituibile”, si rassegnerà a un ruolo ancillare è una domanda per ora senza risposta ma va da sé che uno dei compiti principali della segretaria del partito maggiore sarà cercare di evitare che il Movimento finisca in una deriva autonomista esiziale per il centrosinistra. È, o potrebbe essere, un problema tanto serio quanto decisivo e se ne inizieranno a capire le dimensioni reali solo al termine dell'Assemblea costituente del Movimento, nel prossimo weekend. C'è però un altro nodo, altrettanto decisivo e persino più aggrovigliato.

Il partito di Elly è un partito pigliatutto, forse persino oltre le intenzioni della sua segretaria. La sterzata a sinistra di Elly lo rende competitivo sul fronte sinistro ed è ovvio che l'elettorato di sinistra, dovendo scegliere tra una forza che si pone sin dal principio come relativamente ancillare, Avs, e un Movimento che nei fondamentali, pace a parte, non si distingue molto dal nuovo Pd di Elly, scelga in larga parte l'opzione più solida. Ma il Pd, soprattutto nei territori, è ancora nonostante Elly in larga misura il partito che dal 2008 aveva sempre più occupato una area centrista, sia pur orientata, spesso timidamente, a sinistra. Dunque il Pd è altrettanto competitivo e anche sul lato del centro, che infatti non riesce neppure a balbettare.

Lo scontro per il governo del Paese però è stato e al momento è ancora tra coalizioni, non tra partiti. Il Pd ha recuperato forza e salute ma a spese di una coalizione che al contrario non è mai stata così gracile e così malcerta. In due anni Elly ha rimesso in piedi un partito in ginocchio e questa era la priorità per lei come per l'intero Pd, nessuno escluso. La sfida per dar vita a una coalizione è quella che attende ora Elly Schlein. Non è un'impresa facile. Però non lo era neppure rianimare il Pd.