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Populismo, antiparlamentarismo, sfiducia nella classe dirigente considerata corrotta e incapace, anche grazie ad un montante giustizialismo. Questi gli ingredienti di un cocktail micidiale che mette a rischio la governabilità e la tenuta stessa delle Istituzioni, specie se uniti a una fase di particolare debolezza della classe politica.
Il professor Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, ha affrontato diffusamente la difficile situazione che sta vivendo il nostro Paese in un suo recente articolo intitolato “La politica non sa reagire all’antiparlamentarismo”.
Nel quadro tracciato parla di un antiparlamentarismo forte come ai tempi della marcia su Roma. Vede altre analogie tra la fase che viviamo adesso e quel periodo?
In Italia ci sono state varie fasi simili a quella che viviamo e non tutte si sono chiuse in modo drammatico come fu per la crisi finita con la marcia su Roma. In altri casi le crisi si sono riassorbite in maniera diversa e non necessariamente gli esiti devono essere drammatici. Non vedo poi altre analogie tra quel periodo e questo. L’Italia di allora era molto diversa da quella di oggi, era una società agricola e non industriale. Ma l’antiparlamentarismo periodicamente si ripresenta e gli esiti finali dipendono dalle risposte delle elites politiche e da fattori incontrollabili. Certo la crisi economica oggi è forte e potrebbe avere un impatto come lo ebbe la depressione tra le due guerre.
All’antiparlamentarismo montante fa sponda la debole capacità di decisione della politica. Si riferisce agli ultimi governi o a una condizione generale?
Mi riferisco a un sistema che abbiamo scelto per un insieme di ragioni, prima delle quali per il complesso del tiranno, e che produce governi relativamente deboli. I sistemi parlamentari non sono tutti uguali. In quello tedesco, che è un cancelleriato, il primo ministro ha una forza e un rilievo istituzionale notevole, così come succede anche in Spagna. Poi ci sono alcuni parlamentarismi con governi deboli. Ne è un esempio anche la quarta Repubblica francese finita con la presa del potere da parte di De Gaulle.
E in Italia?
Guardi, dalla Commissione Bozzi fino al referendum dello scorso dicembre ci sono stati diversi tentativi di rafforzare i poteri decisionali dei governi ma senza successo. Il tipo di assetto istituzionale che abbiamo periodicamente produce correnti di ostilità, rancori diffusi e delle impazienze che rischiano di toccare la democrazia. E poi avviene che qualcuno scambi problemi legati al funzionamento delle Istituzioni come problemi della democrazia.
Lei sostiene che il popolo diventa anti casta anche perché la percepisce corrotta e concentrata solo sui propri interessi. E’ solo una sensazione distorta e condizionata dal “circo mediatico- giudiziario”?
Percepisce una corruzione latente. Ogni settimana, se non ogni giorno, viene detto che c’è corruzione e questo succede da trent’anni. Impossibile che questa circostanza non abbia effetti sull’orientamento di un’area molto grande della popolazione che comincia a dire le classiche cose pericolose per la democrazia: tutti ladri e così via. Si assume un atteggiamento di rifiuto indifferenziato che spiega l’antiparlamentarismo che monta. A questo va aggiunto che abbiamo una classe politica troppo debole per bloccare certe forme di malcostume che esistono davvero, ovviamente, e debole anche per bloccare il circo costruito intorno a questo. La politica è molto debole anche perché è l’unica parte della società pubblica che sta sotto i riflettori. Ad esempio ci sono molte inefficienze della burocrazia che, però, non sta sotto i riflettori e tutto viene scaricato sulla classe politica”.
Il “circo mediatico- giudiziario” mantiene una grande influenza nonostante poi le sentenze spesso smontino le inchieste…
Il circo mediatico giudiziario dai tempi di “Mani Pulite” non è mai stato contrastato. Basti pensare a quanto successo con le intercettazioni. Bisognerebbe tornare a spiegare che le sentenze sono una cosa e le inchieste sono un’altra in un Paese dove vige la presunzione di non colpevolezza. L’aspetto più drammatico è che nella consapevolezza dell’opinione pubblica è stato travolto il principio di non colpevolezza fino a sentenza passato in giudicato. L’indagato viene percepito come colpevole a prescindere. Poi dopo molti anni arrivano le sentenze e ridimensionano tutto.
La scuola e l’educazione secondo la sua analisi hanno pesanti responsabilità nel processo di diffusione dell’antiparlamentarismo.
La scuola e l’educazione italiana non forniscono più gli strumenti per analizzare criticamente quello che avviene nella società. Una persona che passa da un iter poco selettivo con la scuola che non ha pretese che questa persona sviluppi capacità cognitive e si appropria di conoscenze adeguate rispetto al titolo che gli viene dato, si trova facilmente in balia dei messaggi più estremisti. Non ha gli strumenti critici per distinguere il grano dal loglio o per essere non essere suggestionata.
Immagina un percorso che possa invertire la rotta?
Ho sostenuto le ragioni del sì al referendum in parte anche per superare il bicameralismo perfetto e la riforma del titolo quinto della Costituzione per dare più forza alla classe politica. La sconfitta fa sì che la classe politica rimanga quella debole che conosciamo da venti o trent’anni e non abbia capacità di risposta rispetto a questo deterioramento. Non vedo la capacità o la possibilità che questa classe politica possa dare una risposta forte e chiara in grado di bloccare l’antiparlamentarismo. Anzi il ritorno al sistema proporzionale contribuirà ad aumentare il frazionamento interno e renderà ancora più debole la capacità di decisione. Diciamo tuttavia che i fattori in gioco sono tanti, alcuni dipendono anche dal quadro internazionale e altri non sono controllabili. C’è comunque da sperare che questa ondata di antiparlamentarismo venga in qualche modo riassorbita.