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Il conto alla rovescia è davvero cominciato. A 30 giorni dall'ora della verità Matteo Renzi è costretto a considerare l'ipotesi di una sconfitta referendaria e a preparare le contromosse. Non che dia la partita per persa, anzi, ma con i sondaggi compatti nel registrare un vantaggio del No non può più permettersi di sottovalutare il rischio. Nelle linee generali la strategia è pronta e definita, ma i particolari, che come sempre sono la vera insidia, dovrà precisarli, se davvero sconfitto, in corso d'opera.Le dimissioni da presidente del Consiglio sembrano inevitabili e Renzi per primo non ha alcuna intenzione di restare al governo azzoppato e indebolito, per farsi rosolare a puntino come auspicano i suoi rivali all'interno del Pd. In veste di premier uscente e soprattutto di segretario del principale partito italiano la sua scelta sarà decisiva per individuare il successore. Va da sé che il rottamatore non ha alcuna intenzione di lasciare il posto a un nemico politico come ad esempio Enrico Letta, sul quale punterà invece probabilmente la minoranza interna. In realtà anche l'opzione del "governo amico", termine che indicherebbe la scelta di cedere il posto a un fedelissimo come il ministro Delrio, probabilmente lo convince poco. Sulla disponibilità dei luogotenenti a restare tali anche dopo essersi insediati alla guida del governo è sempre opportuno dubitare.Renzi vorrebbe una figura istituzionale o tecnica, comunque di secondo piano sul piano politico: come il presidente del Senato Grasso o il ministro dell'Economia Padoan. L'aspetto critico è che, potendo il segretario del Pd contare ben poco su gruppi parlamentari allineati più per forza che per amore e ringalluzziti da una vittoria del No, il nuovo premier dovrà essere scelto in accordo almeno con Berlusconi, ed è questa la prima insidia nel percorso che aspetta Renzi se le previsioni dei sondaggi saranno confermate.La seconda è la durata del governo. Elezioni immediate sono quasi fuori discussione, essendo la legge elettorale per il Senato vacante. Renzi al momento pensa a un governo di breve durata, in carica solo quanto necessario per varare una nuova legge elettorale. Per alcuni versi il tempo gioca a suo vantaggio: la lontananza da palazzo Chigi stempererà l'ostilità che oggi lo circonda. Ma una pausa troppo lunga rischierebbe di confinarlo nel limbo degli ex leader superati dai tempi frenetici della politica italiana.Ma se il segretario del Pd sarà imprescindibile nella scelta del premier "di transizione", sulla durata del governo, condizionata dal quadro internazionale, dalle contingenze e soprattutto dal capo dello Stato, difficilmente l'ultima parola sarà la sua.La cosa che più preoccupa Renzi è la probabilità di una legge elettorale molto diversa, per non dire opposta, al suo Italicum, che verrebbe affossato senza possibilità di resurrezione da una vittoria del No. Non è però escluso che lo scacco si riveli a conti fatti un vantaggio. Le elezioni comunali hanno già dimostrato quanto pericoloso sia per lui il duello maggioritario in un quadro politico tripolare. Una legge proporzionale lo costringerebbe sì alle aborrite alleanze, ma assicurerebbe al suo Pd centrista il ruolo centrale e dominante.Il passaggio centrale e più delicato sarà però interno al Pd. Sul fatto che Renzi miri a restare segretario per poi candidarsi alle elezioni politiche ci sono pochi dubbi, ma sarà proprio su quel fronte che la minoranza cercherà di dargli il colpo di grazia. La carta vincente su cui conta il segretario in carica è l'assenza di un leader in grado di rivaleggiare con lui. Per sconfiggerlo la minoranza dovrebbe individuare una figura credibile, non necessariamente proveniente dalla minoranza stessa, e scippare al fiorentino una parte della sua maggioranza: non i renziani di stretta osservanza, certo, ma almeno una parte di quel cerchio di alleati che va da Franceschini ad Andrea Orlando.Sulla carta è un'impresa disperata e la sicurezza di Renzi, in questo caso, appare giustificata. Con due incognite: la prima è che la sua leadership potrebbe uscire più ammaccata di quanto oggi prevedibile dall'eventuale batosta referendaria; la seconda è il ruolo di Massimo D'Alema, che in questo tipo di giochi è un maestro. Non sarebbe la prima volta che Renzi sottovaluta il più coriaceo tra i rottamati del Pd.