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Lui certo non ha smesso di lavorare da ministro. Andrea Orlando ha dedicato buona parte della giornata di ieri alla visita di un carcere, quello di Castelfranco, nel Modenese. Sa però che a ogni minuto si avvicina un’altra incombenza per lui importante: il confronto interno al Pd. Sulle voci di una candidatura a segretario, la reazione di via Arenula si condensa in uno slogan: « Il file non è aperto » . È così: intanto c’è da completare l’ultimo chilometro di legislatura. E ieri il guardasigilli ha messo una pietra sopra i sussurri di un accordo tra la sua corrente, i Giovani turchi, e Area dem Dario Franceschini: « Il nostro riferimento è il segretario del partito che sta guidando una fase difficile, tutti abbiamo condiviso la sua proposta in direzione » , ha dichiarato a RaiNews 24. Un modo per archiviare l’ipotesi di una forzatura, da proporre appunto insieme con il ministro dei Beni culturali, per un governo che resti in carica fino al 2018. Questo all’attuale guardasigilli non interessa, lo dice con chiarezza: « La legislatura, nata morta senza una maggioranza, si è conclusa con il voto referendario. Si tratta di capire come possiamo chiuderla, non come la possiamo proseguire » . Significa semplicemente « evitare di trovarsi con maggioranze diverse a Camera e Senato » e appunto « fare una nuova legge elettorale » . Non certo tirarla per le lunghe.
Parole che scolpiscono una linea di correttezza nei confronti di Renzi. Ma una volta partito il nuovo governo, Orlando sarò libero di muoversi. Non è escluso resti ministro della Giustizia: avrebbe poco senso riapparecchiare la scrivania per un nuovo guardasigilli destinato a restare in carica qualche mese. Ma certo entrerà in gioco l’interesse di Orlando per «il partito» , per la riaffermazione di «un’identità di sinistra» . Si può dire di certo che Orlando consideri la propria carriera politica assai più legata a questa mission che a quella di uomo di governo. E se la candidatura a segretario è un « file » ancora impossibile da aprire, qualche presupposto si vede. Orlando è tra i pochi de, m a poter raccontare di essere stato eletto la prima volta sotto le insegne del Pci, da consigliere comunale a La Spezia nel 1990. È un uomo di sinistra, di territorio, che rappresenterebbe una soluzione interessante innanzitutto per l’ala bersaniana: vorrebbe dire riportare il baricentro del Nazareno verso sinistra senza che la « ditta » debba impegnarsi direttamente. E se al congresso Renzi uscisse ridimensionato ma comunque vitale, l’attuale inquilino di via Arenula sarebbe per lui “ il miglior nemico possibileË . « Matteo » non sempre è stato diplomatico con « Andrea » : l’ha definito « troppo doroteo » nelle schermaglie con l’Anm, e nella primavera del 2015, in vista delle Regionali, gli fece balenare persino l’ipotesi di una candidatura a governatore in Campania, quando sul nome di Vincenzo De Luca correvano ancora molti dubbi. Ma quelle sollecitazioni di Palazzo Chigi parvero legate, più che all’entusiasmo del fan, all’opportunità di sottrarre una ministero di peso a una corrente di sinistra del partito. Sembrò insomma che Renzi, di Orlando, si volesse liberare: d’altronde non è al politico ligure che aveva pensato inizialmente come responsabile della Giustizia, ma al pm Nicola Gratteri. In tempi recenti il premier ha congelato la riforma del processo penale per supreme necessità referendarie, ha lasciato fuori dalla legge di bilancio duemila assunzioni tra cancellieri e poliziotti penitenziari. A fronte di tutto questo, il guardasigilli ha sempre esibito pazienza e imperturbabilità.
Anche quest’estate di voci su una possibile corsa di Orlando alla segreteria sono circolate. E non è un mistero il dissenso del leader dei Giovani tuchi rispetto alla scelta renziana di personalizzare il referendum. Lì si è acceso per la prima volta un interruttore, Orlando ha ricominciato a inviare messaggi politici, a non comparire più solo come componente dell’esecutivo. Senza mai uscire dal seminato: ha tentato in tutti i modi di rimettere in carreggiata il ddl penale, ma quando ha capito che a Palazzo Chigi non volevano saperne non ha certo incitato a una sollevazione contro il capo del governo. Ha continuato anzi a girare l’Italia per promuovere il Sì. Con spirito di correttezza. Con disciplina, in una parola, da vero giovane comunista. Una qualità che Renzi ora come ora non penserebbe di poter apprezzare più di tanto, ma che in futuro potrebbe fare la differenza. ERRICO NOVI