Dopo la “verifica” evocata dal segretario di Forza Italia Antonio Tajani, le intemperanze di Matteo Salvini sembrano resuscitare un altro pilastro della liturgia politica della Prima Repubblica: i “due forni”. Stavolta l'operazione viene attribuita alla premier in persona, e coinvolgerebbe, come è noto, Azione, il partito centrista di opposizione guidato da Carlo Calenda, attualmente il più insoddisfatto delle mosse della leader dem Elly Schlein e di conseguenza la forza che più di tutte sembra avere le mani libere.

Quando un presidente del Consiglio riesce a trovare un varco nella sua fitta agenda per presenziare al congresso di un piccolo partito, è difficile pensare che lo faccia gratuitamente, e che non abbia in testa uno schema tattico che includa quel partito. Nel caso di Azione, però, i piani che potrebbero far incrociare gli interessi dell'ex- ministro dello Sviluppo economico con quelli dell'inquilina di Palazzo Chigi appaiono più di uno, con un'equa distribuzione di obiettivi concreti e di obiettivi simbolici.

Partiamo da quelli concreti: dal prossimo autunno, a breve distanza, si terranno ben sei tornate elettorali regionali, che coinvolgeranno Marche, Campania, Puglia, Toscana, Veneto e Calabria. Azione ha già stretto, in passato, accordi politici che l'hanno portata ad appoggiare candidati di centrodestra, come accaduto in Piemonte e in Basilicata, e questo schema appare in fase avanzata di realizzazione nelle Marche. Per Meloni, si tratta di un'operazione rilevante, visto che la sua preoccupazione maggiore è quella di scongiurare la perdita di quest'ultima regione da parte di un governatore di Fratelli d'Italia.

Una sconfitta indebolirebbe il suo partito all'interno del centrodestra e questo, nell'ottica dei negoziati per le candidature nelle successive Regionali, potrebbe comportare un problema, soprattutto con la Lega e soprattutto per la vexata questio veneta. Nel caso delle Marche c'è da notare che le avances sono arrivate direttamente da FdI, perché c'è la possibilità che il candidato di centrosinistra sia un dem, e che risulti più difficile per Calenda motivare una scelta pro-centrodestra. Altro discorso sarebbe ad esempio in Campania, se il candidato dell'aspirante Campo Largo fosse l'ex- presidente della Camera Roberto Fico, chiaramente indigeribile per il leader azionista (che ha affermato di desiderare l'annientamento politico dei pentastellati dal palco del congresso).

Si diceva della Lega, e proprio in funzione del rinnovato attivismo di Salvini, dopo l'insediamento di Donald Trump e del suo cerchio magico alla Casa Bianca, va intesa l'inedita “strategia dell'attenzione” meloniana per Calenda. Oltre che per le trattative interne alla maggioranza sulle candidature alle Regionali, il soccorso di Azione (o la sua minaccia) può essere utile alla premier per trovare un bilanciamento parlamentare su dossier sensibilissimi come il sostegno militare a Kiev. Se non ci saranno novità, il Parlamento dovrà approvare all'inizio del 2026 il rinnovo dell'invio di armi all'Ucraina, e risulterà sempre più arduo (se non impossibile) per il Carroccio giustificare l'ennesimo voto positivo. Poter contare su una piccola riserva aggiuntiva di voti non è un'ipotesi mal vista a Palazzo Chigi, anche perché da questo punto di vista lo scenario si sta facendo sempre più trasversale, e una maggioranza alternativa si questo fronte non porterebbe a una crisi di governo. D'altra parte, l'insistenza dello stesso Calenda nel definire “dei volenterosi” una coalizione di questo tipo, lascia intendere chiaramente la finalità pro- Kiev dell'operazione.

C'è però un altro fronte, più profondo a livello politico e temporale, che potrebbe coinvolgere Azione e portare a una collaborazione con la premier, ed è quello delle riforme: il partito di Calenda è notoriamente a favore della separazione delle carriere, ma non disdegna nemmeno l'idea dell'elezione diretta del Capo dell'esecutivo. I seggi, certamente, sono pochi, e non risolverebbero il problema del raggiungimento della maggioranza dei due terzi previsto per evitare il referendum, che dunque appare certo sia per la giustizia che per il premierato, ma potrebbero tornare utili invece per un'altra questione, strettamente legata a quella delle riforme e agli equilibri politici dei prossimi anni.

Si parla, con tutta evidenza, della legge elettorale, e del fatto che questa potrebbe avere un impianto proporzionale, seppure con premio di maggioranza, ridimensionando la quota uninominale e con essa l'influenza dei partiti minori delle coalizioni. Tutto ciò porterebbe a un sistema meno bipolare di quello attuale, e la cosa apparentemente non dovrebbe essere coerente con quanto detto finora da Meloni, ma la riduzione dei seggi assegnati con l'uninominale colpirebbe la Lega, e in questo braccio di ferro l'aiuto di Calenda potrebbe essere gradito, nonché decisivo.