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Il primo ad arrivare in sala Nassiriya al Senato è Ivan Scalfarotto. Poi ecco Maria Elena Boschi e Lella Paita, che si presenta con un vistoso mazzo di fiori. L’occasione, per i renziani “duri e puri”, è di quelle da non perdere. Il leader di Iv ha infatti convocato una conferenza stampa nella quale doveva parlare di manovra, ma la notizia del proscioglimento dal caso Open, così come quello della stessa Boschi e di tutti gli altri coinvolti, prende il sopravvento.
E quando l’ex presidente del Consiglio si presenta in sala è un fiume in piena. «Dopo cinque anni di massacro mediatico arriva la verità e la verità è che noi siamo innocenti, chi ha imbastito un’inchiesta su nulla contro di noi oggi dovrebbe vergognarsi ma soprattutto dovrebbero scusarsi quei partiti come Fratelli d’Italia e Cinque Stelle che hanno massacrato la vita nostra e delle nostre famiglie e che oggi improvvisamente hanno scoperto il dono del silenzio», dice tutto d’un fiato ai cronisti presenti.
Poi risponde al microfono del Dubbio, a precisa domanda sul sostegno di Iv alla maggioranza sulle riforme della giustizia ancor più dopo il proscioglimento, con Salvini che ha espresso solidarietà per quanto passato dal senatore di Firenze. «Se il governo farà ciò che ha detto di fare, vale a dire la separazione delle carriere, è ovvio che io voto a favore», dice Renzi precisando che «il problema di questo governo è che non sappiamo mai se quello che ci propongono è quello che veramente sta nei testi».
Il bersaglio è il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, «la più grande delusione di questo governo perché ha cominciato citando Churchill e ha continuato andando a ruota di Delmastro». Il rispetto per il Guardasigilli rimane, ma la critica è aspra. Così come quella a FdI e Lega perché, aggiunge l’ex presidente del Consiglio, «io non ho iniziato a fare politica con un cappio, come ha iniziato la Lega, salvo scoprirsi garantista sui propri indagati».
Poi Renzi torna sul proscioglimento, dice che «un pm ha voluto costruire un’inchiesta, che abbiamo voluto dire al Senato, era politica e non giudiziaria». Un’inchiesta che ha portato «a centinaia di perquisizioni illegittime» e a sentenze della Cassazione e della Consulta che hanno «smontato e smentito l’operato dell’accusa» e però «è stata una sofferenza grande per noi e le nostre famiglie e per tutti gli indagati».
E attacca la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Perché non ha trovato un momento per fare un tweet e scusarsi per quello che il suo partito ha fatto? Perché non si è scusata su quello che ha detto sulle varie indagini?», si è chiesto il leader di Iv.
Renzi ne ha per tutti, definisce l’inchiesta come «il tentativo di assassinare un progetto politico» che però «è vivo e vegeto» ma fugge dalle ipotesi di complotto. «Non sono uno che vede complotti o che urla - specifica - Certo, Pier Luigi Bersani si era espresso sulla nostra moralità. Sto ancora spettando che restituisca i soldi che gli hanno dato i Riva a Taranto, poi parli di moralità», ha aggiunto per poi ribadire: «Non dico che Bersani e Bindi siano i mandanti, la scelta l’ha fatto il pm Turco».
E tanto per concludere “in bellezza” gli attacchi a tutto campo ecco che il bersaglio si allarga a Marco Travaglio e Piercamillo Davigo. «Travaglio è tecnicamente un pregiudicato come lo è Davigo - scandisce - Loro che hanno fatto la morale in questi anni a noi dovrebbero vergognarsi entrambi, anche a distanza: potrebbero vergognarsi via Zoom se vogliono, ma di certo io non mi faccio dettare l’agenda politica dalla cultura giustizialista».
In prima fila, i senatori di Iv applaudono convinti: ci sono Enrico Borghi, Silvia Fregolent, Daniela Sbrollini, e c’è Bobo Giachetti che “segue da remoto”. «È il mio aiuto da casa», scherza Renzi. «Chi pagherà il conto del peso personale e politico di questa inchiesta?», si chiede infine Boschi ringraziando «quella parte di informazione, magari minoritaria, che ha lavorato correttamente mentre un altro pezzo ha usato questa vicenda per attaccarci».
Poi, quando tutti già si scambiano gli auguri di Natale, il colpo di scena. Entra in sala Filippo Sensi, già portavoce di palazzo Chigi ai tempi della presidenza Renzi e oggi senatore Pd. Saluta e spiega quanto fosse doveroso esserci anche solo di passaggio. È l’unico esponente dem ad averlo fatto.