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L’arcobaleno che questa mattina ha accolto Matteo Salvini al carcere Pagliarelli di Palermo è stato davvero un «buon segno». Come sperava il leader leghista, che non poteva sperare di meglio: il tribunale di Palermo lo ha assolto da tutte le accuse «perché il fatto non sussiste». Ovvero la stessa formula richiesta dalla difesa dell’ex titolare del Viminale, oggi vicepremier e ministro delle Infrastrutture, per il quale la procura aveva chiesto una condanna a 6 anni di carcere per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per il caso Open Arms.
Secondo il collegio della seconda sezione presieduto da Roberto Murgia, dunque, Salvini non è responsabile di aver negato e ritardato nell’agosto del 2019, per 19 giorni, lo sbarco di 147 migranti, compresi minori, soccorsi dalla nave della Ong spagnola in tre salvataggi. Il processo può concludersi tra lacrime e applausi, dopo otto ore di attesa estenuante, spezzate dal lungo abbraccio della compagna Francesca Verdini e dall’esultanza dei deputati di centrodestra, che da Roma “sigillano” il verdetto nell’Aula della Camera.
«Sono felice, dopo tre anni ha vinto il buonsenso, ha vinto la Lega, ha vinto l’Italia, ha vinto il concetto che difendere i confini, contrastare scafisti e trafficanti e proteggere i nostri figli non è un reato ma un diritto», esulta l’ex imputato eccellente fuori dall’aula bunker. «È stata un’assoluzione piena, e tra le formule assolutorie è stata scelta quella più piena, che non sussiste alcun reato - chiosa la sua legale, la senatrice leghista Giulia Bongiorno -. Non è una sentenza contro i migranti, ma contro chi sfrutta i migranti». Ora non resta che leggere le motivazioni dei giudici, che saranno depositate entro 90 giorni.
Open Arms, le tappe in breve
Le date e i numeri non sono irrilevanti, in questa storia. La sentenza arriva dopo ventiquattro udienze, tre anni di processo, quarantacinque testimoni (tra cui Richard Gere). Ed esattamente cinque anni e quattro mesi da quel 20 agosto 2019, quando il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ordinò lo sbarco di tutti i migranti dopo aver effettuato un’ispezione a bordo con medici e psicologi.
Sulla nave erano rimaste 83 persone, in balia del mare dal 2 agosto, quando la Open Arms aveva chiesto il Pos (Place of safety), cioè il primo porto sicuro disponibile. Il giorno prima Matteo Salvini aveva firmato il primo divieto di ingresso in applicazione dei Decreti sicurezza. Il provvedimento portava anche la firma dei ministri Trenta e Toninelli. I quali invece rifiutano di sottoscrivere il secondo decreto, arrivato dopo il 14 agosto, quando il Tar del Lazio aveva sospeso l’efficacia del divieto di ingresso.
Era cominciato il braccio di ferro, nel contesto di una crisi di governo, quella del Conte I, che sarebbe esplosa di lì a breve. Tre mesi dopo Matteo Salvini è formalmente indagato dalla Procura di Agrigento. L’indagine passa per competenza alla Procura di Palermo, che si rivolge al Tribunale dei ministri. Per il quale Salvini ha violato le convenzioni internazionali e le leggi del mare «omettendo senza giustificato motivo, di esitare positivamente le richieste di POS inoltrate al suo Ufficio di Gabinetto da Imrcc (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) in data 14, 15 e 16 agosto 2019, così provocando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale dei predetti migranti, costringendoli a rimanere a bordo della nave per un tempo giuridicamente apprezzabile».
I giudici si rivolgono al Senato per l’autorizzazione a procedere, che viene concessa a luglio 2020, quando ormai era mutato il quadro politico. Nell’aprile del 2021 Salvini viene rinviato a giudizio, come chiesto dalla procura di Palermo. Che lo scorso 14 settembre, nella sua lunga requisitoria, ha contesto a Salvini il «diniego consapevole e volontario che ha leso la libertà personale di 147 persone per nessuna, ma proprio per nessuna, apprezzabile ragione».
L’ultimo botta e risposta tra accusa e difesa
Nella mattina di oggi, prima che i giudici entrassero in camera di consiglio, si è tenuto l’ultimo botta e risposta tra accusa e difesa. Iniziato con le repliche della procuratrice aggiunta di Palermo Marzia Sabella, la quale ha ribadito la richiesta di condanna precisando i motivi per cui il caso Open Arms è diverso da tutti gli altri.
È una risposta all’arringa pronunciata due mesi fa da Giulia Bongiorno, la quale aveva citato gli epiloghi di altre vicende simili, come il caso Gregoretti e Diciotti, per dimostrare la legittimità politica delle scelte assunte da Matteo Salvini per «difendere i confini». E dunque “chiudere” i porti.
Per luogo sicuro, sostiene la difesa, non bisogna intendere soltanto la terra, ma anche il mare. E anche se esiste un diritto allo sbarco, non esiste un diritto a decidere come, quando e chi far sbarcare, come avrebbe preteso Open Arms, il cui unico scopo - secondo Bongiorno - era “sfidare” Salvini e farlo cadere.
Chi in quelle ore si è gettato in acqua in preda alla disperazione - come sostengono l’accusa e le 27 parti civili - non lo avrebbe fatto per sfuggire a una condizione di emergenza e pericolo, dunque. Ma per raggiungere un lembo di terra dopo settimane in mezzo alle onde.