«Sarebbe ora che l'Associazione nazionale magistrati smettesse di vedere un reato di lesa maestà ogni volta che il funzionamento della giustizia in questo paese viene messo in discussione dalla politica. Ci si straccia le vesti, si grida alla delegittimazione...I magistrati facciano il loro mestiere che è quello di perseguire i reati quando ci sono le prove di responsabilità personali: i reati, e non i fenomeni. Delle nomine, per stare al caso di cui si parla, si occupa la politica e ne risponde in termini di credibilità e di consenso, non di reato. Se le scelte politiche vengono valutate in termini di reato qualcosa non funziona». Lo dice in un'intervista al 'Giornale' l'ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti sul caso di Arianna Meloni.

Con una premessa, però. «In questa vicenda, a cominciare dall'articolo di Alessandro Sallusti, si è gridato ''al lupo al lupo" ma io il lupo non l'ho visto. La Procura di Roma ha negato che una indagine esista, e peraltro io faticherei a immaginare quale reato si potrebbe configurare». Per Vietti la «magistratura è molto cambiata, è molto meno ideologica di un tempo, si è creata una trasversalità per cui che qualcuno si metta a tavolino a progettare trappoloni per il ''nemico'' io non lo credo. Che poi ci possa essere qualcuno che soffia sul fuoco sperando che un po' di brace possa dare vita ad un incendio, questo sì che mi sembra verosimile».

Quanto all'ipotesi di reato di traffico d'influenze, «ribadisco: in quanto sto leggendo sulle nomine in aziende di Stato non trovo nulla che assomigli a un reato. Dirò di più: se Arianna Meloni, che mi risulta avere un ruolo di primaria responsabilità politica all'interno del partito di maggioranza relativa, ha interloquito su quelle nomine, ha fatto semplicemente il suo me mestiere. A stupirmi è stato semmai che negasse di averlo fatto».