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Gli emendamenti al decreto crescita che chiedevano di prorogare la convenzione di Radio Radicale, ormai scaduta, ieri sera sono stati giudicati inammissibili, a partire da quello della Lega che sembrava poter trovare l'appoggio degli alleati di governo. Così purtroppo non è stato. La norma, all'esame delle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, era stata bocciata nella mattinata di ieri, poi il Carroccio aveva presentato ricorso insieme al PD, ma il Movimento 5 Stelle, nonostante qualche voce in dissenso, è rimasto contrario. Non è dunque bastato il sì di tutti gli altri gruppi, perché era necessaria l'unanimità. Tutto ciò ha scatenato una vera e propria bagarre ieri sera nelle commissioni riunite: tutti i gruppi, infatti, sono intervenuti per tentare di convincere il Movimento 5 Stelle, che ha fatto mancare l'unanimità, a cambiare idea. Non poteva essere altrimenti, considerato che proprio qualche ora prima il sottosegretario all’Editoria Vito Crimi aveva ribadito che la posizione del Governo non era cambiata e rimaneva a sfavore dell’emittente radicale. Da quello che si può leggere dal resoconto pubblicato sul sito della Camera della riunione delle commissioni, sembrerebbe che gli emendamenti siano stati respinti per incompatibilità di materia con il dl Crescita; tuttavia Claudio Borghi, il leghista alla presidenza della Commissione Bilancio, “osserva che la responsabilità politica della mancata riammissione degli emendamenti relativi a Radio radicale sia indubbiamente da attribuire al gruppo del MoVimento 5 Stelle, ferma restando la loro indiscutibile estraneità per materia, rilevata dalle presidenze”. Duro comunque l'affondo della dem Silvia Fregolent verso Borghi, accusato di fare "il Ponzio Pilato". A ribadire la contrarietà dei pentastellati ci ha pensato invece l’onorevole Raffaele Trano: “la odierna decisione del gruppo del MoVimento 5 Stelle rappresenti piuttosto l’avvio di un nuovo percorso ispirato da coerenza e ragionevolezza, volto in particolare a porre fine alla permanenza di un diffuso velo di ipocrisia”. La speranza dei lavoratori e dei sostenitori di Radio Radicale, e del servizio pubblico che da 43 fornisce, è che lo stop all'emendamento sia legato solo a ragioni tecniche e che un clima meno acceso nella maggioranza dopo le europee favorisca il raggiungimento di un accordo e l'inserimento della proroga in un altro provvedimento. E nel pomeriggio di ieri si era tenuta una conferenza stampa con Alessio Falconio, Paolo Chiarelli e Maurizio Turco, rispettivamente direttore, amministratore ed editore di Radio Radicale. Quello che era emerso, dato che la convenzione con il Mise è scaduta il 20 maggio, è che Radio Radicale resisterà al massimo per un paio di mesi. Gli stipendi di maggio sono garantiti, quelli di giugno no. Anche se la redazione decidesse di lavorare senza ricevere compenso, “ci sarebbero comunque dei costi tecnici insostenibili” aveva spiegato Falconio. Comunque tutti e tre avevano espresso ‘fiducia, rispetto e speranza’ nei confronti dei presidenti Borghi (Lega) e Ruocco (M5S) chiamati a decidere. Durante l’incontro con la stampa si era collegato in video chiamata l’onorevole del Partito Democratico, Roberto Giachetti. Oggi dopo sei giorni di sciopero della fame e della sete, ha interrotto quello della sete e si è rivolto al vice premier Di Maio: “vorrei far capire al mio amico Luigi Di Maio che le dichiarazioni che ha fatto stamattina sulla possibilità di salvare Radio radicale, non con un intervento diretto dello Stato, vogliono dire che non sa di che cosa parla. Questo è il modo di dire chiudo Radio radicale senza dirlo e allora che ci metta la faccia, lo dica e si misuri con quelli che non sono d'accordo”. Anche il comitato di redazione di Radio Radicale stamane ha rilasciato un comunicato, dopo i fatti di ieri sera: “prendiamo atto che in Parlamento sembra prevalere la volontà di spegnere Radio Radicale e di cancellare un servizio pubblico che dura da 43 anni buttando in strada oltre 100 persone che senza fatti nuovi perderanno il loro lavoro. Speriamo che in Aula le cose possano cambiare ma chi sta tentando di cancellarci può stare sicuro che non lasceremo nulla di intentato e andremo fino in fondo per difendere il nostro lavoro e la nostra storia”. Nelle stesse ore, con un invito formale, i capigruppo del Pd Graziano Delrio ed Andrea Marcucci hanno rivolto un appello ai presidenti Casellati e Fico: "Radio Radicale è Radio Parlamento, per questo è necessario che intervengano i presidenti delle Camere e che facciano valere la loro autorità”. Nella giornata di ieri molti parlamentari ed esponenti politici di vari schieramenti avevano speso parole di sostegno a favore di Radio Radicale e della libertà di informazione: Nicola Zingaretti, Renato Brunetta, Anna Maria Bernini, Pietro Grasso, Valeria Fedeli, Loredana de Petris, e inoltre Roberto Rampi, Andrea Marcucci, Mauro Laus e Davide Faraone del PD si sono anche iscritti al Partito Radicale.