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Cinque deputati avrebbero incassato il bonus da 600 euro destinato alle partite Iva in difficoltà. Nessun tagliatore di vitalizi si era preoccupato di scongiurare il pericolo
Non è che sia un fatto clamorosamente peggiore di altri. A fare rabbia è più la faccia tosta. Non era possibile concedere i finanziamenti a fiondo perduto agli avvocati, e in generale ai professionisti. “Avete le Casse di previdenza autonome? Accontentatevi dei 600 euro del bonus, e amen, il ‘fondo perduto’ va solo alle altre partite Iva. Voi avete la Cassa e siete dei privilegiati”. Più o meno il discorso che il governo ha rinfacciato al Cup, al Cnf, agli Stati generali delle professioni, suonava così. Bene. I deputati non avranno la Cassa autonoma – anzi qualcosina hanno, nonostante i tagli ai vitalizi, per esempio una discreta assistenza sanitaria dedicata –, però nessuno, ma proprio nessuno, ha ritenuto di introdurre una clausola speciale per escluderli dal bonus dei 600 euro. E invece cinque di loro, come rivelato stamattina da Repubblica, lo hanno incassato. In realtà se quei 5 deputati (identità ufficialmente ignota, comunica l’Inps, per ragioni di privacy) si sono trovati nella condizione giuridico-formale di poter fare domanda è perché nessuno aveva ritenuto di inserire, fra le cause di esclusione, il godimento di indennità parlamentari e simili, né nel decreto Cura Italia che ha istituito il bonus né nel decreto Rilancio che lo ha prolungato. Be’, se nessuno ci ha pensato, forse Roberto Fico, presidente di quei signori, dovrebbe farsi alcune domande, prima di gridare allo scandalo». E pure Luigi Di Maio, ex capo politico dello stesso partito, il Movimento 5 Stelle, pure lui, dovrebbe chiedersi perché il Consiglio dei ministri di cui è autorevole componente – Capo della Farnesina! – si è preoccupato di escludere i professionisti, beneficiati dall’appartenenza a Cassa forense o alla Casagit, ma non ha avuto la tigna di scrivere “il bonus non è cumulabile con indennità per mandati elettivi”. Fatto sta che è così: dopo il colpo giornalistico di Repubblica, parte la sfilata degli indignati, una sorta di tradizione sacra analoga (ma più ricorrente) a quella laica e un po’ più seria dei radicali che visitano le carceri a Ferragosto. «È una vergogna che cinque parlamentari abbiano usufruito del bonus per le partite Iva», tuona Fico, «questi deputati chiedano scusa e restituiscano quanto percepito, è una questione di dignità e di opportunità. Perché, in quanto rappresentanti del popolo, abbiamo degli obblighi morali, al di là di quelli giuridici. È necessario ricordarlo sempre» (e invece no, il diritto è il diritto, casomai è il legislatore a doversi preoccupare di garantirlo). «È vergognoso. È davvero indecente», è l’anatema del savonarola Di Maio (hanno scritto i decreti autorizzativi dello “scandalo” sempre a sua insaputa, tutta colpa degli altri componenti del Consiglio dei ministri, lui non c’era e se c’era dormiva). «Vera vergogna» è l’assonanza scelta per l’occasione dal segretario del Pd Nicola Zingaretti, un altro che viene informato sempre a cose fatte. «Scandalo», è il sintetico commento di Licia Ronzulli, sacerdotessa del berlusconismo crepuscolare. Però aggiunge, con una protasi vagamente garantista: «I deputati di cui parla l’Inps chiedano scusa e, se li hanno presi, restituiscano immediatamente i soldi». Se. I fatti. È stata la direzione centrale Antifrode, anticorruzione e trasparenza dell’Inps, struttura ad hoc voluta dal presidente Pasquale Tridico per smascherare i furbastri, a segnalare l’esistenza dei cinque deputati che hanno richiesto il bonus riservato alle partite Iva. Si tratta appunto della versione da 600 euro. Fiocca il tototessera: le ultime quotazioni danno anche un grillino tra i beneficiari, poi un renziano e tre salviniani. Tra i pochi che hanno la decenza di andare oltre l’esclamazione isterica va annoverato il vicecapogruppo dem alla Camera Michele Bordo: ritiene sì, «inqualificabile» quanto accaduto, ma almeno aggiunge che «questa vicenda dimostra come abbia ragione il Pd quando afferma che sono sbagliati i contributi a pioggia senza alcun meccanismo di selezione. La fretta delle scelte nel pieno della pandemia ha purtroppo determinato diversi casi di ingiustizia sociale. Si sono verificati», ricorda Bordo, «anche tra notai, dentisti, avvocati importanti, commercianti, aziende, lavoratori autonomi che hanno goduto di sostegno economico pur senza averne effettivamente bisogno. È necessario correggere quanto prima questa impostazione». È già un atto di verità. Che non scarica con la solita deresponsabilizzante demagogia l’ennesimo “scandalo”.