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Chi si aspettava di conoscere il nome del presidente del Consiglio indicato da Movimento 5 Stelle e Lega è rimasto deluso. Luigi Di Maio e Matteo Salvini non sono riusciti a chiudere il cerchio. «Abbiamo chiesto al Presidente del tempo, qualche giorno, per ultimare il contratto di governo nel migliore dei modi», dice il capo politico grillino, uscendo dal colloquio con Sergio Mattarella. Per l’ennesima volta, la pazienza del Capo dello Stato, a cui al telefono avevano detto di essere «pronti» la sera prima, viene messa ancora a dura prova. Serve un’altra proroga perfezionare il contratto di governo - anche se i due novelli alleati si dicono «consapevoli delle scadenze internazionali che ci impongono di fare presto» ma il legittimo sospetto è non ci sia accordo neanche sulla figura cui affidare Palazzo Chigi. «Siamo d’accordo con Salvini, di nomi nomi pubblicamente non ne facciamo», dice Di Maio, mortificando sul nascere la curiosità dei giornalisti in sala stampa. Lui e l’alleato terranno le bocche cucite, forse per evitare di farsi qualche sgambetto reciproco. Perché l’intesa non c’è e basta poco a far crollare una struttura ancora precaria. «Se parte questo governo parte la Terza Repubblica, quella in cui i cittadini fanno un passo avanti e i politici fanno un passo indietro», spiega il leader pentastellato, ammettendo implicitamente due cose: una maggioranza ancora non c’è e se l’esecutivo vedesse la luce sarebbe per merito di una personalità esterna alla politica. E visto che è stata ufficialmente smentita l’ipotesi di affidare la premiership al professore di Storia economica Giulio Sapelli, ex docente di Matteo Salvini, potrebbero salire le quotazioni di Giuseppe Conte, professore di Diritto privato all’università di Firenze, già indicato dai 5 Stelle come membro a squadra di governo ( ministro della Pubblica amministrazione) prima delle elezioni. «Stanno cambiando i riti della politica, vengono prima i temi di coloro che ne saranno gli esecutori», dice ancora Di Maio, declassando il presidente del consiglio a un mero esecutore di programmi magari scritti da altri e da sottoporre comunque al previo gradimento degli iscritti: quelli del Movimento verranno chiamati a esprimersi sul contratto sulla piattaforma Rousseau, quelli leghisti verranno convocati ai gazebo. Il capo politico, in ogni caso, nega che ci siano problemi sulle poltrone: «Stiamo ultimando il contratto», dice, che è un contratto «di governo, non di locazione...». E nello specifico: «Sono molto orgoglioso delle interlocuzioni che ci sono state fino a ora e siamo soddisfatti del clima che si respira ma soprattutto dei punti che si stanno portando a casa», insiste il leader M5S. «Sul reddito di cittadinanza, sulla legge Fornero, sul taglio degli sprechi, sui grandi temi che riguardano i beni comuni come l’acqua pubblica, sulla lotta alla corruzione, sul carcere per chi evade il fisco».
Anche Matteo Salvini, uscendo dal Colle, smentisce che ci siano incomprensioni sul nome del presidente del Consiglio. Ma il segretario del Carroccio sembra molto meno entusiasta del suo collega pentastellato anche sul contratto di governo. Tra i due partiti sembrano esserci distanze abissali su temi cruciali, sulla stessa «idea di Italia», dice Salvini. «Stiamo facendo uno sforzo enorme perchè se dovessimo dar retta ai sondaggi, che danno tutti la Lega in crescita, saremmo i primi a dire “chi ce lo fa fare? ”, lasciamo tutto nelle mani di Mattarella con l’ipotesi di andare al voto il prima possibile». Inve- ce il Carroccio vuole tentarle tutte prima di gettare la spugna. Le incompatibilità più complesse da superare? Europa e migranti. Su questo Salvini va dritto al punto: «Nel rispetto dei diritti umani, dei trattati, della solidarietà, lo dico da padre di famiglia, mi rifiuto di pensare all’ennesima estate/ autunno degli sbarchi, del business dell’immigrazione clandestina in saldo», spiega. «E quindi su questo la Lega deve avere mano libera per la tutela della sicurezza dei cittadini e smantellare il business sulla pelle di queste persone». Il centrodestra è arrivato primo alle elezioni del 4 marzo con un programma preciso, che Salvini vorrebbe trasferire sul contratto di governo. Perché il leader del Carroccio non tratta con Di Maio come segretario di partito, è questo l’altro dato rilevante del suo resoconto, «una mia precondizione perché il governo partisse era che non si rompesse l’alleanza di centrodestra», rimarca, approfondendo il solco che sembra essersi creato nelle ultime ore con i grillini. «E quindi ringrazio sia il presidente Berlusconi che il presidente Meloni per la possibilità di tentare di dar vita a questo governo senza spaccare la coalizione con cui abbiamo preso 12 milioni di voti e a cui continuo a far riferimento». Parole che fanno pensare a un’altra idiosincrasia programmatica: il conflitto di interessi, considerato fondante per gli uni e inaccettabile per gli altri. Dunque, «il governo parte se siamo in grado di fare le cose, no al libro dei sogni: se non siamo in grado di fare quello che ci chiedono gli italiani non cominciamo neanche», avverte Salvini. «Non vogliamo prendere in giro il presidente e gli italiani. Gli accordi un tanto al chilo non fanno per noi, speriamo di vederci presto o perchè si comincia o perchè ci si saluta». La pazienza di Mattarella sta per terminare. Anche se per il momento «prende atto della richiesta di M5s e Lega di avere qualche giorno in più di tempo per trovare un’intesa»