Forse il vertice di Londra non è stato un fallimento completo ma di certo non è stato un successo, neppure parziale, e in particolare non lo è stato per l’Unione europea. Ursula von der Leyen ha avanzato le sue proposte per il riarmo europeo. Ogni Stato riarmerà nei limiti del possibile e non è la stessa cosa. Non sembra ci sia l’ipotesi, almeno per ora, di debito comune per finanziare la corsa alle armi. Significa che l’Unione, ancora una volta, si ferma prima di muovere il passo che la spingerebbe davvero verso l’integrazione, quello suggerito, come sempre e come sempre invano da Mario Draghi.

L’Italia incassa uno dei suoi obiettivi, l’esclusione delle spese militari dal Patto di Stabilità ma anche lì è ancora tutto da vedere il come e il quanto e non si tratta precisamente di particolari. C’è sul tavolo una proposta, tregua di un mese, forza multinazionale di peacekeeping, ed è una proposta sensata ma con quante probabilità di andare oltre il colpo abbattuto per dimostrare di essere vivi ma senza grandi possibilità di risultati reali è a dir poco molto dubbio. In ogni caso la proposta, e la leadership di fatto, parte da un Paese che è senza dubbio europeo ma che dell’Unione non fa parte, il Regno Unito, e vede una Unione tanto per cambiare spaccata. Il Canada è in predicato di aderire alla missione, l’Italia, la Germania e la Polonia no.

L’Unione europea non ci fa una gran figura anche se si tratta di discorsi solo virtuali, magari non proprio chiacchiere ma neppure troppo distanti dal quella dimensione poco produttiva. Non solo perché prima di definire le missioni di peacekeeping è necessario che ci sia la Peace, o almeno una tregua, ma soprattutto perché non c’è missione di volenterosi che tenga senza l’appoggio più o meno attivo ma netto degli Stati Uniti. A conti fatti l’esito principale del vertice è solo questo: senza gli Usa l’Europa non può fare assolutamente niente.

Ne deriva l’obbligo, anche questo emerso in piena luce domenica a Londra, di ricucire il rapporto tra Usa e Ue. Sulla carta bisognerebbe dire tra Usa e Ucraina ma la sostanza riguarda invece proprio le due aree mai così distanti dell’Occidente. Di conseguenza la premier italiana è destinata probabilmente ad avere una parte centrale nella commedia che sta già andando in scena. Se l’inglese Starmer può svolgere un ruolo di mediazione determinante in nome dell’antico rapporto privilegiato fra la Gran Bretagna e la sua ex colonia, l’italiana Meloni può farlo in nome di una vicinanza politica che di cui nessun altro grande Paese europeo dispone e, a differenza del premier inglese, dall’interno e non dall’esterno dell’Unione europea. Anche Meloni ha messo in campo una proposta sensata e non impraticabile, quella di una conferenza Usa-Ue-Nato che a questo punto si svolgerebbe probabilmente a Bruxelles se non addirittura a Roma.

Ma quante possibilità ha la premier italiana di poter esercitare davvero un ruolo di collante diplomatico senza finire invece in una posizione tra le meno gradevoli, quella di chi sta in mezzo e di conseguenza non è riconosciuto da nessuno come davvero affidabile? Probabilmente, per come si sono messe le cose, le possibilità di ricucire un rapporto con Donald Trump al fine di una strategia congiunta e condivisa sull’Ucraina dipendono da una scelta per l’Italia e per l’Europa fra le più difficili e dolorose: la disponibilità a sacrificare Volodymyr Zelensky.

Le possibilità di ricucire i rapporti tra il tycoon e il presidente ucraino sembrano in realtà molto ridotte. Putin soffia sul fuoco e a questo punto è probabile che la sostituzione di Zelensky sia una delle sue condizioni determinanti. Musk si è scagliato contro l’ucraino con violenza pari se non maggiore a quella della coppia presidenziale.

Per Giorgia Meloni, e in realtà per tutta l’Europa, la testa dell’ex comico non sarebbe in sé un sacrificio troppo alto. Anche se nessuno lo può confessare sono in molti a Roma, e probabilmente in parecchie altre capitali europee, a considerare il presidente ucraino un ostacolo. Ma Zelensky è un simbolo e lo è tanto più dopo la sceneggiata della Casa Bianca. Per Giorgia la mediatrice accettare di sacrificarlo e suggerirlo all’Europa sarebbe un passo forse troppo lungo. Per l’Europa accettare quella condizione, eventuale ma non troppo, sarebbe quasi una resa. La missione diplomatica della premier italiana è difficile, la partita che l’intera Europa si è trovata a giocare senza aver capito come sia potuta finire in un simile vicolo cieco comunque durissima.