«Ormai siamo oltre il circolo vizioso, ma in presenza di un circolo davvero inquinato di un’informazione che non è più informazione». Parla il direttore del settimanale Panorama Giorgio Mulè.

Direttore Mulè, la notizia data da “La Stampa” su presunte irregolarità di Silvio Berlusconi nella vendita del Milan, nonostante il Procuratore capo di Milano Francesco Greco abbia nettamente smentito che ci sia un’indagine, è entrata a far parte di fatto del lungo rosario di vicende attribuite dai media al leader di Forza Italia e questo in piena campagna elettorale. Che opinione si è fatto?

Siamo ormai oltre la stranezza. E’ grave la notizia della non- inchiesta di Milano. Ci troviamo davanti a un giornale che decide di aprire la sua edizione con una notizia che è totalmente falsa a sentire il Procuratore di Milano che è l’unico titolato a dare il marchio di veridicità o no. La cosa peggiore è che La Stampa poi ribadisce la bontà della notizia sulla base di due fonti che sono anonime e che evidentemente presuppongono che il Procuratore di Milano non sappia quello che accade nel suo ufficio. Siccome questa è un’ipotesi che va esclusa in radice, è a tutto tondo, secondo me, una forma di par condicio di tipo politico.

Sarebbe?

Avendo dato La Stampa rilievo alla notizia delle intercettazioni di De Benedetti, il quale riferiva dei contatti con Renzi, c’è stato dopo pochi giorni questo attacco nei confronti del Cavaliere. Attacco che va ricondotto nel solco dell’interpretazione di una notizia che non c’è. Ci troviamo di fronte a non notizia, che viene pervicacemente ribadita nonostante le smentite.

Con tanto di conferenza stampa di Greco.

Certo, ma la cosa grave è che nei telegiornali viene data una non notizia come se fosse una notizia. E cioè i telegiornali della Rai danno conto di un articolo della Stampa che è stato smentito. Quindi nel divulgare una non notizia non fanno altro che fare da megafono a una notizia che è destinata alla pattumiera. Provocando così un danno e cioè l’impressione in chi non ha l’attrezzatura per discernere cosa è vero e cosa è falso che ci sia qualcosa di giudiziario nella vendita del Milan. Quindi, io mi sarei aspettato da parte dei telegiornali nazionali un atteggiamento diverso.

Cova avrebbero dovuto fare?

Non si doveva parlare di un’inchiesta che non c’è, ma di un clamoroso inciampo, di una clamorosa non notizia data da La Stampa, non di una notizia su un’inchiesta smentita proprio perché non c’è. C’è un problema anche da un punto di vista semantico. Perché per il modo in cui si ascolta spesso la televisione. Chi sta in cucina, chi mangia non sta attento alle sfumature, sente solo delle parole chiare: inchiesta, indagine, Berlusconi. E quelle parole restano in testa. Quindi, alla fine siccome La Stampa, anche se è un grande giornale, ha un numero limitato di lettori, il vero megafono lo hanno fatto i telegiornali che hanno presentato la cosa in una maniera distorta. Perché, ripeto, bisognava parlare di un clamoroso incidente giornalistico. Il titolo doveva essere: l’inchiesta che non c’è, inventata da La Stampa.

E perché non è stato fatto?

Questo avrebbe fatto gridare chiunque a uno schieramento di favore nei confronti del Cavaliere. Visto che tutto si può dire tranne che lui non sia coinvolto in qualche indagine, si sarebbero tutti alzati e avrebbero gridato: ecco, sono schierati con il Cavaliere. E così facendo è stato fatto un doppio disservizio alla verità: prima da parte della Stampa poi da parte di chi l’ha rilanciata in maniera distorta.

Sta dicendo che ormai si rischia che in questo clima venga fuori una campagna elettorale direttamente a base di quelle che si configurerebbero come fake news?

Il problema, volgarizzando, è che si ciurla nel manico. Sicco- me un principio banale ci dice che una notizia falsa smentita è una notizia data due volte, si gioca su questo equivoco. E l’equivoco è continuare a pensare che davanti alla tv ci siano dei fini giuristi o delle persone che abbiano strumenti per decriptare un linguaggio che è inevitabilmente ostico. Invece arriva solo un messaggio, cioè che c’è un’inchiesta della Procura di Milano, nonostante la smentita dello stesso Procuratore, perché La Stampa ribadisce che c’è l’inchiesta. Siamo ormai oltre al circolo vizioso, ma in presenza di un circolo veramente inquinato di un’informazione che non è più informazione ma diventa partigianeria o menzogna e falsità.

Lei vede dietro tutto ciò, come ha scritto il direttore del “Giornale” Sallusti, anche la mano dell’Ingegner De Benedetti, editore della “Stampa” oltre che di “Repubblica”?

L’Ingegner De Benedetti è assai divertente quando dichiara agli ispettori della Consob di essere un king maker che viene chiamato una sera dal ministro Boschi, un’altra da Renzi e da Padoan. E rivendica addirittura la paternità del jobs act. Quindi, l’Ingegnere sfrutta in maniera evidente il ruolo che ha all’interno del sistema editoriale italiano, facendo quello che Repubblica e i suoi moralisti hanno sempre rifuggito. E cioè lui non è un editore puro ma è il massimo dell’impurità dal punto di vista editoriale perché contamina il suo ruolo con frequentazioni politiche interessate. Tanto da essere un soggetto che a tutto tondo diventa politico, definendosi egli stesso scherzando “il grande vecchio” che si permette di dare a Renzi anche del “cazzone” con grande facilità. Ma è poi l’uomo al quale si perdona di avere in capo una condanna in primo grado per omicidio plurimo nella vicenda dell’amianto dell’Olivetti, al quale si perdonano le scorribande finanziarie del passato, al quale si perdona questo straordinario tempismo per il quale c’è una modica quantità di guadagno dopo la vicenda delle banche popolari. E quello se non è un insider trading è certamente l’utilizzo di una informazione privilegiata.

Insomma, emergono sempre più nettamente due pesi e due misure per l’Ingegnere da un lato e per il Cavaliere dall’altro?

Il moralismo di Repubblica conosce la sua Caporetto laddove dimostra di essere stato volgarmente partigiano nelle vicende che riguardavano il Cavaliere, nelle quali da Giannini in giù erano tutti schierati a dare lezioni di moralismo, e di bendarsi, invece, poi gli occhi per la vergogna quando il proprio editore finisce in vicende che a tutto tondo danno l’idea di quello che De Benedetti è: tutto tranne che un editore libero e liberale.