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«La giunta Raggi ha fallito, il Pd guidi una mobilitazione popolare». Roberto Morassut, deputato romano del Pd e assessore all’Urbanistica della giunta Veltroni, analizza l’impasse in cui è bloccata la Capitale governata da Virginia Raggi, a partire dal debito da 1miliardo e 500 milioni di euro di Atac, l’azienda che gestisce il trasporto pubblico.
Onorevole, la Raggi dice che il debito di Atac è frutto delle amministrazioni precedenti, è colpa vostra?
Nessuno smentisce che, nel momento in cui la Raggi è diventata sindaco, la situazione di Atac fosse critica. Il punto, però, è che in un anno di lavoro la sua amministrazione ha saputo solo cambiare tre dirigenti generali e svariati assessori al Bilancio con delega alle Partecipate.
Come ha fatto questo debito a crescere così a dismisura?
Vanno anzitutto fatti dei distinguo. Negli anni della giunta Veltroni, noi facemmo la storica operazione di trasformare le municipalizzate in società per azioni, con l’obiettivo di responsabilizzare le aziende pubbliche, i cui debiti prima venivamo pagati a pie’ di lista dal Comune. Noi abbiamo legato le aziende a un contratto di servizi di forniture, obbligandole a far quadrare i conti. In questo modo, nel 2008, abbiamo portato l’indebitamento di Atac appena sotto gli 80 milioni di euro. Il dramma è iniziato con la giunta Alemanno, che ha fatto lievitare il debito a 900 milioni dal 2008 al 2013 e anche quello complessivo della Capitale, a colpi di parentopoli e logiche distorte nell’assegnazione degli appalti pubblici.
Il risultato, oggi, è che si è dimesso un altro dg e che i cittadini della capitale hanno un servizio pubblico scadente. Come si risolve?
Per esempio, cambiando il regime di nomina dei vertici delle muni- cipalizzate. Oggi il codice stabilisce che si tratti di scelte discrezionali della politica e per questo si tratta di poltrone preda di correnti e lobby di potere. Io ho depositato una proposta di legge che prevede di introdurre procedura di evidenza pubblica per selezionare una terzina di nomi, tra i quali poi gli amministratori pubblici sceglieranno. Se qualcosa si può imparare dallo sfascio romano, è che il sistema delle nomine non funziona.
I radicali hanno proposto un referendum per liberalizzare il servizio pubblico, lei è favorevole?
Io sono contrario a questo referendum per una ragione semplice: una legge che impone la gara per assegnare il servizio già esiste. Con questo referendum si rischia di fare una retorica del pubblico contro il privato e di confondere ancora di più le acque.
Atac quindi potrebbe perdere comunque già la gestione del servizio?
La prossima gara sarà nel 2019 e la legge consente al comune di asse- gnare il servizio in house senza bando solo se c’è «dichiarato elemento di convenienza». Atac sta per fallire e, stando alla situazione attuale, la giunta Raggi farebbe un atto illegale se riassegnasse alla municipalizzata il servizio senza gara pubblica.
Veniamo alla giunta Raggi, la vecchia politica gongola davanti ai fallimenti di chi l’ha sconfitta?
Guardi, che la Raggi fosse inadatta al ruolo era chiaro agli esperti di politica. Detto questo, io non sono contento che i romani paghino le tasse più alte d’italia, con un’irpef doppia per ripianare il debito pregresso, e vivano in una città che non fa investimenti né manutenzione urbana. Quanto possiamo andare avanti così, spremendo le famiglie e dando loro servizi da quarto mondo? La città sta esplodendo, con un livello di conflittualità sociale inaudito.
E questo è responsabilità dei 5 Stelle?
Il loro fallimento è evidente, posto che hanno vinto sulla base di programmi che poi hanno dimostrato di non essere capaci di realizzare per incapacità e inesperienza. Le dico di più, loro sono diventati ormai come la politica che hanno sempre denunciato: divisi in correnti, pronti a chiamare i manager per segnalare fornitori e raccomandare gente.
Eppure, nonostante gli ennesimi scossoni di Atac e dell’assessore che ha rimesso le deleghe, Raggi regge ancora.
Ma certo, per il Movimento 5 Stelle un fallimento a Roma sarebbe un fallimento nazionale. La Capitale è la loro linea del Piave, se cadono qui la credibilità del Movimento crolla come un castello di carte. La giunta Raggi, però, non ha possibilità di recupero ed è un’amministrazione travolta da questa passerella di assessori cambiati ogni tre mesi, che ha azzerato la continuità amministrativa nei settori strategici.
Ma, in questo sfascio che descrive, il Pd romano cosa sta mettendo in campo?
Il Pd Roma ha chiuso la fase drammatica del commissariamento ed eletto un nuovo segretario che ha il sostegno di tutti. Ora siamo al lavoro per rilanciare l’iniziativa politica e io mi permetto di dare un suggerimento: lavoriamo quartiere per quartiere, identificando in ogni municipio un paio di questioni territoriali, poi costruiamo una vertenza contro l’amministrazione, per arrivare in autunno a una grande manifestazione in piazza del Campidoglio.
Alle scorse amministrative il Pd ha perso in tutte le periferie, tenendo solo i municipi del centro.
Abbiamo discusso e fatto autocritica, ma ora dobbiamo dare a tutto questo uno sbocco pratico. Il partito deve ripartire, cancellando definitivamente un falso pluralismo interno cristallizzato, più che in correnti, in piccoli gruppi di potere, e facendo tornare al centro la politica. L’imperativo è che il Pd torni ad essere un luogo di confronto su questioni di merito e non più su vicende di composizione di liste ed equilibri di potere: di questo abbiamo preso coscienza, ora dobbiamo dimostrare sul campo di essere capaci di fare politica e faticare, camminando nella città. Io personalmente ho iniziato a farlo, girando i quartieri con un camper e parlando con cittadini e associazioni.