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Il reato c’è. Ma è un reato piccolo piccolo: lo scrisse persino la Guardia di Finanza. Il che non trattiene Giuseppe Sala dalla decisione di autosospendersi: come annunciato giovedì sera, il primo cittadino di Milano consegna un atto formale al prefetto di Milano Alessandro Marangoni e poi sancisce: «Ho appreso da fonti giornalistiche di essere iscritto nel registro degli indagati per l’inchiesta sulla Piastra Expo; ritengo che la situazione determini per me un ostacolo temporaneo a svolgere le funzioni e pertanto sarò sostituito dalle vice sindaco Anna Scavuzzo e Arianna Censi». Sala lo scrive in una missiva indirizzata al Consiglio comunale e spiega di dover «conoscere, innanzitutto, le vicende contestate». Niente conferenza stampa, solo l’annuncio che riferirà «la prossima settimana» all’assemblea cittadina. Poco dopo ne parla coi capigruppo, e conferma di dover fare «mente locale» sui fatti che la magistratura gli addebita.
La “capitale morale” si sente nel pieno di quello che persino il cardinale Angelo Scola definisce «momento di rinascita». Lo stesso arcivescovo esprime «vicinanza al sindaco». Eppure Milano rischia di essere paralizzata da un corto circuito politico- giudiziario.
Sala è uno dei due indagati che la Procura generale aggiunge a una piccola schiera di sopravvissuti nell’inchiesta sulla Piastra, ripresa per i capelli dopo che la Procura della Repubblica aveva già deciso per l’archiviazione. Le ipotesi di reato per il sindaco sono falso materiale e falso ideologico, che prevedono pene da 1 a 6 anni di carcere. Il nome di Sala ricorre nell’ultima richiesta di proroga rivolta al gip e firmata personalmente dal Procuratore generale Roberto Alfonso. Vi è indicata anche la data in cui i reati sarebbero stati commessi: il 30 maggio 2012, giorno a cui risale l’intercettazione decisiva. Quella in cui l’avvocata Carmen Leo svelava di fatto la falsificazione di un documento, predisposto per integrare il verbale di nomina della commissione aggiudicatrice della gara.
Secondo i pm oggi guidati da Francesco Greco e all’epoca da Edmondo Bruti Liberati, non c’era motivo di perseguire tali «anomalie amministrative». Si riteneva “innocua” l’artefatta retrodatazione dell’atto che indicava dei commissari supplenti in modo da sostituire Alessandro Molaioni e Antonio Acerbo, di cui era emersa l’incompatibilità dopo che la commissione s’era già riunita una prima volta, il 18 maggio 2012. Innocua per i magistrati della Procura della Repubblica. Non per il pg Alfonso e il sostituto Felice Isnardi. Da qui l’avocazione del fascicolo, disposta lo scorso 10 novembre con contestuale rinvio del termine per le indagini al 10 dicembre e successiva richiesta di proroga «per altri 6 mesi». Procedura di per sè rara: non a caso nell’atto inviato al gip il 6 dicembre il pg deve “specificare” che l’articolo 406 del codice di rito, relativo appunto alle proroghe, possa ritenersi applicabile anche «all’ipotesi di indagini avocate».
Che poi si trattasse di «deregulation dettata dall’emergenza» come scrissero i pm nella richiesta di archiviazione, lo sostenevano di fatto gli stessi uomini della Guardia di Finanza nell’informativa del maggio 2013: «Non si è provveduto alla revoca dei commissari incompatibili» ma «nulla vieta» tale procedura. Date a parte, i passaggi erano regolari anche secondo i materiali esecutori delle indagini. Non si può dire, suggerivano ancora le Fiamme gialle, «che la sostituzione abbia comportato irregolarità nell’epilogo della gara». La Mantovani di Piergiorgio Baita l’avrebbe vinta in ogni caso.
Perché fatti già ritenuti penalmente irrilevanti dalla Procura vengono ripresi dalla Pg fino a scatenare l’uragano? Difficile chiarirlo. Alfonso non risponde ai cronisti, si limita a dire «ho letto i giornali, così è» e augura «buon Natale». Ma filtra una certa idea di “pentimento”, dalla Procura generale. Che fa sapere di essere «pienamente disponibile» ad accogliere eventuali dichiarazioni spontanee da parte del primo cittadino. Sala potrebbe offrire elementi per accertare la propria estraneità alla falsificazione dell’atto e ottenere una rapida archiviazione. Tanto rumore per nulla, forse. Al punto che persino Matteo Salvini invita il primo cittadino a «restare al suo posto». Forse ha ragione l’ex competitor per Palazzo Marino, Stefano Parisi, a definire quello di Sala un gesto «isterico». O forse senza tanta teatralità, lì in Procura generale non si sarebbero già pentiti.