Come anticipato nei giorni scorsi dalla premier, il governo ha approvato il decreto con cui tenta di sanare la delicata questione della lista dei paesi di provenienza dei migranti, da considerare sicuri. La cosa è stata posta da Meloni in cima alle priorità dell'esecutivo, dopo la sentenza del tribunale di Roma che ha ritenuto illegittimo il trasferimento nel cpr albanese di Gjader di alcuni cittadini egiziani e bengalesi, in base a un pronunciamento della Corte di Giustizia Ue dello scorso 4 ottobre, secondo cui possono essere trattenuti in vista del rimpatrio, solo i migranti che provengono da paesi che si possono definire sicuri senza eccezioni territoriali o di altra natura.

Egitto e Bangladesh, secondo la Corte di Lussemburgo e di riflesso secondo i giudici italiani, non possono cadere sotto questa definizione, a causa di conclamate discriminazioni operate nei confronti di determinate categorie di cittadini. Il provvedimento, varato al termine di una giornata convulsa e di un Cdm iniziato in ritardo e senza ordine del giorno verosimilmente a causa di ripetute limature del testo e della cornice giuridica, ha l'intenzione di “blindare” la lista dei paesi sicuri già messa a punto dalla Farnesina, che sono diventati 19 rispetto agli originari 22, con una norma primaria e di immediata valenza come il decreto.

Resta però il nodo di quale diritto debba ora ritenersi prevalente, se quello nazionale o se quello comunitario. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, nella conferenza stampa che ha seguito il Cdm, ha ribadito il proprio punto di vista, affermando che «siamo arrivati a questo punto a seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea, scritta in francese, che non è stata ben compresa». Secondo il Guardasigilli «questa sentenza, oltre a ribadire il principio che è compito degli Stati individuare quali siano gli Stati sicuri, pone poi delle condizioni nel momento in cui un giudice intenda dare una definizione diversa di Stato sicuro in merito alla situazione di determinate persone. Il nocciolo di questa sentenza, è che il giudice deve, nel momento in cui si pronuncia, dire in maniera esaustiva e completa, nel caso di specie, quali siano le ragioni per cui per quell'individuo quel determinato Paese non è ritenuto sicuro. Nelle motivazioni dei decreti al centro del dibattito in questi giorni», ha concluso, «questo manca».

Sia il sottosegretario Alfredo Mantovano che il ministro dell'Interno hanno indicato la prossima entrata in vigore del nuovo Regolamento Ue sui migranti, prevista per il 2026, che a loro avviso darà indicazioni più stringenti. Nel frattempo, secondo Piantedosi, il decreto «consente ai giudici di avere un parametro rispetto ad un'ondivaga interpretazione». Da Bruxelles, per ora, non si sbilanciano: quella del tribunale romano è una sentenza, ha osservato la portavoce per gli Affari interni e l'immigrazione della Commissione europea Anitta Hipper, di cui è a conoscenza: «Siamo in contatto» ha detto, «con le autorità italiane».

La parte più rilevante delle considerazioni du Hipper, sono quelle relative al cuore della questione, vale a dire su quale fonte giuridica debba valere per la definizione della lista dei paesi sicuri: «Da parte nostra, per ora non abbiamo liste comuni dell'Ue per i paesi terzi sicuri, è qualcosa che è anche previsto che faremo, su cui dovremo lavorare, ma che gli Stati membri attualmente non hanno, solo liste nazionali. Dovremo garantire di avere criteri comuni, e questo è qualcosa che stiamo esaminando».

Hipper ha anche aggiunto che «il protocollo Italia-Albania applica la legge nazionale italiana, ma ovviamente applica anche gli standard stabiliti nella protezione dei richiedenti asilo e nelle procedure che sono previste dal diritto Ue. E abbiamo anche detto», ha proseguito, «che tutte queste misure che le autorità italiane stanno adottando devono essere pienamente conformi e non dovrebbero in alcun modo compromettere l'applicazione del diritto comunitario e dei trattati Ue».

Il tutto al termine dell'ennesima giornata convulsa, contrassegnata da aspre polemiche politiche e dalle scorie lasciate prima dalla sentenza del tribunale che ha valutato come illegittimo l'invio nei cpr albanesi di migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, poi dalla diffusione di una mail anti-Meloni del sostituto procuratore della Cassazione Marco Patarnello, appartenente a Magistratura democratica.

A far salire di tono lo scontro tra la maggioranza e le toghe, in ossequio al suo stile, è stato il leader leghista Matteo Salvini, che riferendosi a Patarnello ha affermato che quest'ultimo andrebbe «licenziato in tronco». Ma in generale tutte le prese di posizione degli esponenti del centrodestra (in primis l'ulteriore intervento sui social della stessa premier), nelle ore che hanno preceduto il Consiglio dei ministri, avevano teso ad assimilare le parole del magistrato alla sentenza romana, come facenti parti della stessa strategia di una parte della magistratura per fiaccare l'azione del governo su tutti i fronti.