Le schermaglie tra partiti di maggioranza sulla legge di bilancio, in un governo di coalizione, sono moneta corrente. Per questo all'apericena in cui ha convocato i leader del centrodestra a casa sua, Giorgia Meloni ha tenuto in giusta considerazione le richieste di Salvini e Tajani per i correttivi alla manovra, con la consapevolezza che si tratta di un problema per il quale si troverà una soluzione equilibrata, senza che ne derivino sconquassi per la stabilità del governo.

Al contrario, sembra altamente improbabile che la premier non abbia cominciato un lavoro di sminamento delle questioni sensibili, quelle che realmente potrebbero mettere a rischio la navigazione dell'esecutivo attraverso la legislatura. E in quest'ottica al primo posto delle preoccupazioni non può che esserci l'autonomia, che dopo i numerosi rilievi della Consulta è diventata una vera e propria gatta da pelare, che non solo potrebbe portare allo showdown tra due partiti della maggioranza che già sul tema bisticciano da mesi, ma potrebbe anche innescare una resa dei conti interna alla Lega, dove il pressing dei governatori sul segretario ha raggiunto un'intensità mai toccata prima. Per capire che aria tira a via Bellerio. Basta rileggersi alcune affermazioni fatte da Luca Zaia domenica sera, quando è stato intervistato da Fabio Fazio su La9.

Due in particolare: quella in cui ha detto con tono stentoreo che «andranno ritarate molte scelte» e quella in cui ha sottolineato in modo sibillino che «esiste una Lega dei politici e una degli amministratori», quasi a voler ribadire lo scarto che si è creato tra il partito di destra e sovranista voluto dal segretario e quello legato al territorio e ai temi storici del Carroccio. Se a ciò si aggiungono i segnali inviati dal governatore lombardo Fontana, attestatosi chiaramente sulla linea del governatore veneto, si può comprendere come la situazione sia magmatica a gravida di rischi per tutta la maggioranza. Zaia ha appena scritto un libro per difendere la sua “creatura”, che nasce sullo slancio dei referendum di qualche anno fa tenutisi nella sua regione e in quella di Fontana. Salvini rassicura, si mostra tranquillo ma nei fatti la sua sembra una difesa d'ufficio della legge Calderoli, che ora è in mezzo al guado. Tajani è ansioso di riscuotere il dividendo del fatto di guidare quello che le ultime Regionali hanno confermato essere il secondo partito della coalizione, e non ha mancato di far presente a Meloni che votare a favore del testo Calderoli è stato per Fi un sacrificio rilevante, viste le reazioni innescate tra gli azzurri del Meridione.

L'auspicio inconfessabile del ministro degli Esteri è che la legge si inabissi in Parlamento, complice il complicatissimo meccanismo dei Lep ai quali il legislatore dovrà mettere mano per mettersi in linea col pronunciamento dei giudici costituzionali. Prima di ogni ulteriore considerazione, bisognerà però attendere le motivazioni della sentenza. Come uscire in mondo indenne per la maggioranza da questa situazione è un rompicapo, soprattutto se si considera che la questione è strettamente legata ad un altro tema a dir poco scottante, e cioè quello del terzo mandato per i governatori.

Su questo punto, il leader leghista ha cercato in tutti i modi di forzare, arrivando a far presentare dai sui parlamentari degli emendamenti che hanno spaccato la maggioranza, a causa della netta contrarietà della presidente del Consiglio all'estensione del mandato. Tutti sanno che FdI punta a candidare un proprio esponente nel feudo di Zaia, a maggior ragione dopo la contrazione generale dei consensi elettorali del Carroccio e in virtù del fatto che il partito di maggioranza relativa non governa nessuna regione settentrionale, mentre la Lega ne conta due.

Cosa fare, allora, se un presidente di regione di un partito di opposizione fa approvare una legge per riuscire laddove i leghisti hanno fallito? Come noto, è il caso di Vincenzo De Luca in Campania, che con la sua forzatura in consiglio, oltre a suscitare la contrarietà della segretaria del suo partito Elly Schlein, sembrerebbe aver creato un imbarazzo al centrodestra. Da Palazzo Chigi, nei giorni scorsi, avevano annunciato che la legge campana sul terzo mandato sarebbe stata impugnata davanti alla Consulta.

Solo che, almeno al momento in cui questo giornale è andato in stampa, dal Cdm di ieri non risulta che sia stato adottato questo passaggio formale. È possibile che ciò accada nella prossima riunione dell'esecutivo, ma resta il fatto che si tratta di un provvedimento su cui la Lega (che tra l'altro esprime il ministro per gli Affari regionali) avrebbe qualche difficoltà nell'avallare un'impugnativa.