Il regolamento del Mes «fa schifo», il testo «è abominevole». Alle 10 di mattina la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha appena finito le due dichiarazioni in vista del Consiglio europeo previsto per oggi e domani a Bruxelles, e il suo vice e ministro degli Esteri Antonio Tajani parla a ruota libera con i cronisti in Transatlantico. Si sfoga, dibatte con i giornalisti, si lascia andare a lunghe riflessioni, tanto che il capogruppo di Forza Italia, Paolo Barelli, si avvicina al capannello e in romano gli sussurra «Aò, ma questo è ’n comizio».

In sostanza, Tajani spiega che il governo sta usando l’arma della ratifica del Mes per ottenere in cambio altri provvedimenti, come l’unione bancaria, «che non vuole Antonio Tajani o il governo italiano ma che è già in programma».

Un compromesso, insomma, in cui l’Italia «per una volta non si fa mettere i piedi in testa, perché se vai in Europa a testa china te la abbassano ancora di più», insiste. Che poi tira in ballo, senza citarlo, il commissario europeo per gli affari economici e monetari Paolo Gentiloni, quando dice che «in commissione si potrebbe fare di più» e che lo stesso Tajani è stato a Strasburgo per dieci anni «ottenendo sempre grandi risultati per il nostro Paese».

Poi accusa i media di farne una questione «tutta italiana» perché «nelle riunione europee nessuno chiede del Mes». Negli stessi momenti gli passa a fianco il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, la persona giusta per chiedere se qualcuno gli abbia mai chiesto la ratifica del Mes in sede di Eurogruppo (spoiler: sì, e più volte).

E infatti passano poche decine di minuti e arriva la notizia di una lettera inviata dal presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, in cui il primo definisce la ratifica del Mes «centrale per i nostri sforzi» e «particolarmente importante alla luce dei recenti eventi nel settore bancario», spiegando perciò di continuare «a interagire con l’Italia sulla materia». Ma il ministro degli Esteri è già rientrato in Aula per le repliche della presidente del Consiglio.

«Sul tema del Mes non ho cambiato idea, ma quello che ho posto questa mattina non è un tema di merito, è un tema di metodo - spiega Meloni - è capire se questo sia il momento per discutere questa materia, ma non per me, per questo Parlamento, che è chiamato a difendere l’interesse italiano».

Poi i due si dividono: lei va in Senato per ascoltare la discussione a palazzo Madama, lui rimane a Montecitorio per il question time. Dove, guarda caso, si parla di Mes. «Il regolamento non prevede neanche un controllo da parte dell’Europarlamento - incalza Tajani - Personalmente faccio una critica europeista al regolamento perché anche la Banca centrale europea è tenuta a presentarsi regolarmente davanti alla Commissione economica del parlamento europeo». I responsabili del Mes, aggiunge, «sono sciolti da qualsiasi controllo» e per questo «servono cambiamenti più strutturali».

Intanto la Conferenza dei capigruppo della Camera calendarizza l’approdo della riforma del Mes in aula a partire da domani, con la discussione generale. L'esame del provvedimento, con il possibile voto, proseguirà poi da martedì ma per quel giorno il calendario già prevede una serie di proposte di legge, dal voto a distanza alla maternità surrogata, e dunque con ogni probabilità se ne riparlerà più avanti.

«Il Mes non può essere uno strumento emergenziale e il suo utilizzo come sostegno comune al fondo di risoluzione unico per le banche in dissesto andrebbe discusso con altri pilastri del quadro economico finanziario europeo, quali l'unione dei mercati di capitale e l’unione bancaria - insiste il ministro degli Esteri - Il Mes potrebbe anche avere un ruolo nel sostenere investimenti a condizioni favorevoli ed essere attivato in caso di potenziali shock esterni futuri e parte di esso potrebbe essere usata per alimentare il fondo sovrano europeo, ma serve insomma una riforma più ambiziosa, una complessiva e articolata riconfigurazione dell'architettura finanziaria europea».

Poco dopo parla Gentiloni, per il quale «è legittimo discutere quale può essere la funzione del Mes nei prossimi anni, se può essere utilizzato in diverse direzioni» ma «qui abbiamo già un ulteriore utilizzo, che è quello di fornire un paracadute aggiuntivo in caso di crisi bancarie». Per questo, aggiunge, «penso che discutere di possibili evoluzioni future non escluda l’importanza di ratificare quello che c’è oggi».

Ma ormai è un dialogo tra sordi, e non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.