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Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei Ministri
Il Mes è una nemesi. Lo è stato per il secondo governo Conte, quello giallorosso, che dovette rinunciare a 37 miliardi di euro per la sanità preziosi, anzi necessari, nonostante il prestito fosse a condizioni d'eccezione. Lo è oggi per il governo di destra, che proprio su questo spinosissimo capitolo dovrà fare una scelta determinante e forse senza prove d'appello.
Il governo ha deciso di non ratificare il trattato che riforma le regole del meccanismo di stabilità. Ha delegato la difficile scelta al Parlamento e forse non poteva fare altro. Il tema ha acquisito col tempo un'importanza anche simbolica tale da non permettere una soluzione imposta con atto d'imperio. La responsabilità di una scelta difficile e comunque dolorosa devono prenderla tutti, spetta dunque alle Camere, non all'esecutivo. Ma nell'arena parlamentare il percorso sarà accidentato, le mine deflagranti sono già state piazzate.
La speranza dei partiti di maggioranza, messa nero su bianco nella risoluzione votata qualche settimana fa, è aggrapparsi a un ulteriore rinvio, stavolta non più legato alla necessità di attendere la sentenza della Corte costituzionale tedesca, che nel frattempo è arrivata e ha spalancato le porte alla ratifica da parte della Germania, ultimo Paese oltre al nostro a non aver ancora apposto la sua firma, ma alla necessità di attendere la riforma dei trattati europei. L'ala anti Mes della maggioranza che è folta e agguerrita soprattutto nella Lega ma con vaste simpatie anche in Fi e soprattutto FdI punterà su questo. Chiederà di congelare la firma fino alla revisione di Maastricht.
È una posizione non priva di ragionevolezza, almeno sulla carta. La minaccia di una riforma che potenzia il ruolo di una istituzione economica come il Mes a scapito di una politica, e dunque per definizione più elastica, come la Commissione europea e che rende più incombente il rischio che venga imposta una ristrutturazione preventiva del debito cambia radicalmente di gravità a seconda di quali saranno le nuove regole. Se metteranno l'Italia più a rischio di trasgressione il pericolo rappresentato dalla riforma del Mes sarà decisamente minaccioso. Se al contrario le nuove regole permetteranno all'Italia di guardare alle proprie fragilità con minore ansia il pericolo sarà almeno depotenziato.
Questo però è vero solo sulla carta. Nella pratica, l'eventualità che un solo Paese su 19 blocchi una riforma sottoscritta da tutti gli altri è quasi inimmaginabile. L'esito del rinvio però sarebbe proprio questo, perché la riforma dei trattati non è cosa che si possa sbrigare in un paio di settimane o mesi. Se il Paese reprobo fosse molto forte e in grado di sfidare la Ue il discorso sarebbe parzialmente diverso. Il caso dell'Italia è opposto: ci sarà bisogno molto presto, probabilmente già nei prossimi mesi o ancora prima, di un'Unione ben disposta.
Dunque il governo ha bisogno di una copertura della sua maggioranza per ratificare il trattato ma per aree cospicue di quella maggioranza cedere equivarrebbe ad ammainare la bandiera più qualificante. La partita, senza un passo indietro dei duri anti Mes, potrebbe complicarsi ulteriormente. Se il governo insistesse senza il consenso della sua intera maggioranza, probabilmente sarebbe l'opposizione a intervenire per colmare quei vuoti: certamente il Terzo Polo, che non vede l'ora di cogliere la preziosa occasione, molto probabilmente anche il Pd o parti del Pd. La ratifica sarebbe approvata comunque ma il governo sarebbe un attimo dopo la classica anatra zoppa.
Su un terreno meno rilevante sia sul piano reale che su quello simbolico una soluzione si troverebbe facilmente. In questo caso, con un tema che si trascina da anni e di cui tutti hanno fatto un elemento centrale identitario, le cose saranno meno facili. In ballo ci sarà la natura stessa non solo del governo di Giorgia ma della sua destra, oggi e soprattutto domani. Da un'approvazione senza eccessivi traumi emergerebbe una destra istituzionale, legittimata e riconosciuta in Europa. Uno scontro all'arma bianca, e a maggior ragione da una eventuale vittoria del partito del rinvio, restituirebbero invece centralità assoluta alla “destra antisistema” della quale, fino a ieri, faceva parte anche la premier. Nell'arena del Mes la destra si gioca stavolta moltissimo ma la posta in gioco per l'intera Italia, dati il contesto e la delicatezza del momento, è altrettanto alta.