Prima l'incontro con il futuro commissario europeo Raffaele Fitto, poi il faccia a faccia con la premier. Nella fitta agenda di Giorgia Meloni l'incontro di ieri con il presidente del Ppe Manfred Weber, il primo impegno dopo la breve pausa estiva, è per molti versi quello decisivo. Il piatto forte sul tavolo erano ruolo e deleghe di Fitto nella Commissione, con tanto di contropartite necessarie da parte dell'Italia. Ma sullo sfondo c'è anche qualcosa di più strutturale e importante: il rapporto tra il governo italiano e la Commissione ma anche quello tra la premier, il suo eurogruppo dei Conservatori, e il Ppe.

A tessere la tela che ha portato all'incontro sono stati Tajani e il capodelegazione di Fi a Strasburgo Martusciello, con l'obiettivo di sbrogliare prima di tutto una matassa nella quale Fitto potrebbe finire strangolato. In un modo o nell'altro, con un niet della presidente o in seguito all'intervento impallinante delle commissioni parlamentari, 4 nomi sui 16 uomini indicati dai vari Paesi verranno fatti fuori per fare spazio ad altrettante donne. Scopo primario dell'incontro di ieri era dunque garantirsi la copertura del potente Ppe, anche a costo di sacrificare due dei commissari popolari maschi indicati dai vari Paesi, probabilmente quelli del Lussemburgo e della Croazia.

E' però inevitabile che sul tappeto siano finite anche questioni di carattere meno episodico e più strategico. Fitto otterrà la delega “pesante” invocata dall'Italia, perché il Ppe e la presidente von der Leyen non hanno intenzione di spingere la premier italiana e i Conservatori nelle braccia di Orban, Le Pen, Salvini e i Patrioti.

Dovrebbe trattarsi di Coesione e Pnrr, materia che Fitto ovviamente conosce bene, mentre per il Bilancio, altra delega molto rilevante alla quale ambirebbe l'Italia, non sarà facile scalzare il candidato polacco, Pioter Serafin, vicinissimo al premier Tusk.

Sul capitolo vicepresidenza esecutiva, altra richiesta essenziale per l'Italia, la strada è molto più in salita. Per prassi i vicepresidenti esecutivi sono scelti tra i partiti che hanno votato per la presidenza della Commissione, e questo basterebbe a tagliare fuori l'Italia.

La presidente, però, potrebbe decidere di cambiare strada e distribuire le vicepresidenze esecutive sulla base del peso numerico dei gruppi a Strasburgo, riaprendo così una porta per Fitto, in questo caso come esponente dei Conservatori.

Non sfugge il rilievo politico di una eventuale scelta in questo senso o comunque dell'attribuzione all'Italia di una vicepresidenza esecutiva. E' escluso infatti che i Patrioti ottengano anche loro una vicepresidenza, pur essendo uno dei gruppi parlamentari più numerosi, con qualche europarlamentare in più dei Conservatori. Questi ultimi verrebbero di conseguenza automaticamente accreditati di sicuro e garantito europeismo, al contrario dei reprobi di Orban e Salvini, relegati nel lazzaretto dei sovranisti “appestati”. Se non proprio una cooptazione in extremis nella maggioranza, quasi.

Qualcosa l'Italia dovrà pagare sia per le deleghe assegnate al suo commissario che, a maggior ragione, per l'eventuale vicepresidenza. Di certo il governo dovrà decidersi a risolvere la questione da sempre in sospeso delle concessioni balneari e stavolta, pur provando a mediare un po', lo farà: Bruxelles val bene una sdraio. Vale anche una quantità di lettini e ombrelloni. Però è difficile credere che non spunti anche, certo con la dovuta discrezione in omaggio all'autonomia del Parlamento italiano, anche quella mancata ratifica della riforma del Mes che la Ue non ha digerito e non può digerire dal momento che senza la firma dell'Italia la riforma resterà lettera morta.

Un riavvicinamento al Ppe e all'establishment europeo sarebbe un passo importante e impegnativo anche per la premier italiana e il suo partito. Nella prima fase della partita europea, quella del voto sui top job, Meloni, anche ma non solo per l'umiliazione inflittale da Macron e Scholz, ha scelto di restare a metà strada tra la destra europeista del Ppe e quella sovranista dei suoi ex alleati strettissimi oggi nei Patrioti. Una cooptazione di fatto nella maggioranza rappresenterebbe quel passo deciso e probabilmente senza possibilità di ritorno della leader ex- sovranista italiana in direzione del Ppe, o dell'area più limitrofa.