La missione impossibile di Giorgia Meloni a Washington d’improvviso è diventata meno impossibile. La decisione di Trump di sospendere i dazi arriva alla vigilia di un viaggio che si annunciava complicatissimo, soprattutto dopo le esternazioni del presidente americano. Il quale aveva espresso ai suoi la soddisfazione di vedere un’Europa in ginocchio e col cappello in mano: «Devono baciarmi il c...».

Ma se Trump tende un ramoscello d’ulivo all’Ue, resta il già durissimo duello tra Usa e Cina. In un confronto già molto vicino al livello estremo è prevedibile che il presidente americano chiederà in cambio alla collega italiana uno schieramento netto contro la Cina di Xi. Lo aveva in realtà già fatto Biden e Meloni si era acconciata a denunciare l'accordo stilato dal primo governo Conte sulla “via della Seta”. Ma Biden non aveva dichiarato la guerra commerciale contro tutto il mondo, Europa inclusa. Trump lo ha fatto.

Il riavvicinamento tra il Vecchio Continente e l'antico Celeste Impero era diventato di conseguenza più un obbligo che un'opzione anche se la Cina costituisce a propria volta una minaccia temuta nel nuovo disordine internazionale: privata dello sbocco nordamericano il suo export non potrà che aggredire l'Europa. Però anche tenendo conto di questa densa ombra, sulla quale dovrebbe vigilare una task force europea, sarebbe stato inevitabile che i due mercati attaccati dal presidente americano cercassero una via di comunicazione e immaginassero possibili alleanze. Ed è proprio questo asse, che Trump ha voluto spezzare con la sospensione dei 90 giorni. Qualcuno deve aver spiegato al presidente americano che avrebbe avvicinato inevitabilmente Europa e Cina, a tutto discapito degli Usa. E di qui, il clamoroso passo indietro.

Ma nonostante sia cambiato lo scenario, c’è un secondo nodo incandescente per la premier rispetto al suo ruolo nella trattativa. Il prossimo 17 aprile, data del suo viaggio negli Stati Uniti, potrà parlare a nome dell’Italia, il Paese che governa. Non può farlo a nome dell'Europa, perché la trattativa è obbligatoriamente gestita e condotta dalla Commissione europea. Sembra una questione solo formale, dal momento che nulla impedisce al leader di uno dei principali Paesi dell’Unione di esercitare un’azione diplomatica di fatto concordata e condivisa dalla Commissione con l'obiettivo di "facilitare" la trattativa ufficiale, quella guidata dal commissario al Commercio Sefcovic. Però le cose non sono affatto così semplici.

Trump, infatti, ha detto molto chiaramente di voler discutere solo con i singoli Paesi, intavolando negoziati bilaterali che non prevedono alcun ruolo per l'Ue nel suo complesso. Giorgia arriverà a Washington come europea ma Donald si rivolgerà invece solo all’italiana. L’inquilina di palazzo Chigi dovrà di conseguenza prodursi in virtuosismi acrobatici perché da un lato non potrà accettare la trattativa solo a nome dell’Italia ma dall’altro non potrà neppure chiudere del tutto quella porta. Se infatti i 27 non riusciranno a trovare una posizione comune sulla reazione ai dazi annunciati il 2 aprile, ai quali potrebbero nel frattempo aggiungersi quelli per l’Italia particolarmente esiziali sulla farmaceutica, ogni Paese andrà per conto proprio e la premier italiana, consapevole che questa eventualità sussiste, non può permettersi di bruciare ogni ponte alle proprie spalle.

Il terzo problema è d’immagine. Giorgia la Nazionalista non può apparire come vassalla di Donald Trump. Non può figurare come una leader accorsa a baciare la pantofola, e non solo quella del tycoon. Deve riuscire a mantenere i buoni rapporti senza cedere un briciolo di dignità, il che con un tipo come Trump potrebbe non essere facilissimo. Se tornasse in Europa a mani vuote sarebbe una sconfitta e il peso dell'Italia nel Consiglio europeo certamente ne risentirebbe. Ma se tornasse non solo senza aver ottenuto niente ma anche umiliata, oppure intimidita e asservita, il disastro d’immagine avrebbe ripercussioni immediate anche sulla sua popolarità in Italia e sulla sua autorevolezza ma anche autorità nella maggioranza di centrodestra. L’escursione alla Casa Bianca per la leader di FdI è senza dubbio un’occasione. Se riuscirà a ottenere qualcosa le sue azioni in Europa e anche in Italia si impenneranno. Ma quella missione è anche un rischio tanto grosso da non potersi già più definire “calcolato”.