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Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Nel vertice europeo consacrato alla discussione del piano di riarmo presentato da Ursula von der Leyen, le polemiche domestiche italiane non solo sono entrate a gamba tesa nella discussione, ma per un po' di ore hanno tenuto banco anche a Bruxelles, prima che la forza degli argomenti in campo si riprendesse la scena.
Così, la bagarre di mercoledì innescata dalla premier Giorgia Meloni alla Camera sul manifesto di Ventotene, ha avuto un seguito tumultuoso a Palazzo Madama, mentre a livello dialettico ha coinvolto anche alcune personalità continentali, come ad esempio la presidente dell'Europarlamento Roberta Metsola. Ma la giornata, su questo fronte, è stata indirizzata da alcuni retroscena che avevano attribuito alla premier una certa euforia nella cena coi suoi europarlamentari nella capitale belga alla vigilia del Consiglio Ue, per una sorta di “missione compiuta” rispetto al tentativo di provocare l'opposizione per far convergere l'attenzione sulle polemiche anziché sulle possibili divisioni della maggioranza.
Secondo alcuni cronisti, Meloni si sarebbe compiaciuta coi suoi, ma la cosa è stata seccamente smentita da fonti di Palazzo Chigi, le quali hanno energicamente escluso «categoricamente le ricostruzioni riportate da alcuni organi di stampa in merito ai colloqui tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e gli eurodeputati di Fratelli d’Italia a Bruxelles». Di fronte ai cronisti, in serata, la premier ha poi rincarato la dose: «Non ho insultato nessuno», ha detto, «sono io che sono stata insultata. Sono rimasta sconvolta dalla reazione che ho visto ieri in aula, con parlamentari della Repubblica che sono arrivati sotto i banchi del governo con insulti e ingiurie. Penso francamente che la sinistra stia perdendo il senso della misura e mostra un’anima illiberale e nostalgica».
Metsola, pur nei comprensibili vincoli di diplomazia connessi al suo ruolo, ha invece tenuto ad affermare che il Manifesto di Ventotene «è un pezzo di storia», e che «ciò che abbiamo è l'idea di un'Europa federalista, che è nata dagli autori» di quel Manifesto. Schermaglie che, in effetti, hanno colonizzato lanci di agenzia e notiziari online, a dispetto di una posta in gioco del vertice importantissima e di posizioni non precisamente convergenti all'interno del centrodestra.
Al vertice del Ppe, infatti, il segretario di FI e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha garantito il proprio appoggio all'ipotesi di un esercito comune europeo: «Io sono assolutamente convinto», ha detto, «che avesse ragione De Gasperi e che avesse ragione Berlusconi che nel suo ultimo intervento pubblico, un mese prima di morire, lanciò un doppio messaggio a tutti quanti noi: lavorate per l'esercito unico europeo, lavorate per una riforma che tolga il diritto di veto. Io ho raccolto quel testimone e andrò avanti in quella direzione con grande determinazione. Perché questa è la nostra posizione».
La replica del leader leghista Matteo Salvini non ha tardato ad arrivare: «Non sono d'accordo con Tajani sull'esercito europeo. L'esercito europeo oggi, a guida franco-tedesca, cosa fa, va in guerra? Sono d'accordo sull'aiutare l'Europa a difendersi, ma oggi che garanzia avremmo». Quanto ai contenuti di merito del Consiglio, sul sostegno a Kiev (su cui si era già consumata una divisione a Strasburgo) si è registrata la peraltro prevedibile contrarietà della sola Ungheria di Viktor Orban sul documento conclusivo della sessione del vertice dedicata a questo tema: il presidente e leader dei Patrioti europei non ha infatti sottoscritto le conclusioni in cui si ribadisce il «continuo e incrollabile sostegno all'indipendenza, alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale. L'Unione europea», ha proseguito il documento, «mantiene il suo approccio di 'pace attraverso la forza', che richiede all'Ucraina di essere nella posizione più forte possibile».
Importante e rivendicato dalla stessa premier l’inserimento nelle conclusioni della proposta italiana di usare" il modello InvestEu per le spese per la difesa. «Si va», ha detto Meloni, «verso un piano più ampio». Prevedibile anche l'enfasi accordata dalla presidente alle iniziative sulle politiche di contrasto ai flussi migratori illegali: dopo aver promosso un vertice informale tra 14 stati membri interessati a “soluzioni innovative” sui rimpatri (leggi la possibilità di trattenimento in paesi terzi) Meloni ha auspicato «rapidi sviluppi anche in tema di lista europea di Paesi sicuri di origine e di anticipo di alcuni aspetti del Patto Migrazione e Asilo, a partire dal concetto di Paese sicuro di origine».