Il cambio di rotta è indiscutibile, e se è vero che molti indizi non fanno mai una prova, è altrettanto vero che negli ultimi giorni ci sono stati dei fatti, a testimoniare l'approdo della premier Giorgia Meloni verso una linea meno barricadera contro i suoi avversari o presunti tali. Dopo il culmine della tensione, toccato con lo stizzoso video social di replica all'avvio dell'indagine a suo carico sulla vicenda Almasri, a cui sono seguite le dichiarazioni frontali sui magistrati che “vogliono governare”, da Palazzo Chigi sono arrivati segnali di distensione sui fronti di conflitto più caldi, o quantomeno un orientamento a far scemare la vis polemica.

Si è detto dei magistrati: ebbene, dopo il veemente attacco al procuratore Lo Voi e alle accuse di aver agito per fini politici con “atto voluto” trasmettendo il faldone sul rimpatrio di Almasri, la premier ha colto al balzo la palla lanciata dal neopresidente dell'Anm Cesare Parodi, che nelle sue prime uscite aveva teso al governo un ramoscello d'ulivo proponendole un incontro, per mostrare il suo lato più conciliante. Non a caso, a pagare le conseguenze dell'effimero disgelo tra toghe ed esecutivo è stato proprio il rappresentante dei magistrati, costretto in tempo a record a una messa a punto dai settori più caldi dell'Anm, confermando sia lo sciopero che l'intransigenza sulla riforma della giustizia. In ogni caso, il barometro su questo versante, da circa una settimana, fa segnare bonaccia, così come il quadro sta repentinamente cambiando sulla vexata quaestio dei centri allestiti in Albania per il trattenimento dei richiedenti asilo, dove solo qualche settimana fa Meloni tuonava dal palco di Atreju dicendo che avrebbero funzionato a tutti i costi, sfidando anche stavolta le toghe, dopo due sentenze sfavorevoli. Se queste ultime avevano innescato una veemente reazione legislativa, che ha prodotto prima il dl paesi sicuri, poi le norme che spostavano la competenza per i ricorsi sul trattenimento dei migranti alle corti d'appello, il terzo pronunciamento contrario dei giudici ha portato la premier su più miti consigli, e all'ammissione da parte del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi che c'è un provvedimento allo studio per convertire i centri albanesi in normali Cpr.

Da questo punto di vista, la notizia filtrata ieri sui licenziamenti cautelativi comunicati dal governo alla società Medihospes, che avrebbe dovuto impiegare a Gjader e Shengjin circa 100 persone ma che non ha avuto praticamente la possibilità di prestare la propria opera, costituiscono un fatto rilevante. Anche lo scontro con la Corte Penale Internazionale, esploso per il caso Almasri e arrivato ai massimi dopo la scelta del nostro governo di affiancare gli Usa nella politica sanzionatoria nei confronti della Cpi, è stato congelato dopo che Palazzo Chigi ha espresso l'auspicio di un confronto che possa almeno smussare gli angoli.

Novità significative sono arrivate anche sul fronte della politica interna e del rapporto con l'opposizione (soprattutto il Pd): ieri è stata la giornata in cui, dopo più di un anno di stallo alla messicana, il Parlamento è riuscito, in virtù di un accordo bipartisan, ad eleggere i quattro giudici costituzionali mancanti. Mercoledì c'è stata una telefonata tra Meloni e Schlein ma sarebbe esagerato attribuire a questo atto lo sblocco della situazione, visto che i problemi erano concentrati non sui nomi da concordare tra dem e centrodestra, bensì su quelli da concordare in maggioranza. Ed è proprio questo il paradosso attuale, poiché le insidie maggiori per la serenità della presidente del Consiglio sembrano provenire dal centrodestra, a partire dall'intricatissimo affaire Santanchè, con la ministra del Turismo che sta resistendo a oltranza, a dispetto dei segnali inviati dalla presidente del Consiglio, la quale non vedrebbe di cattivo occhio ( per usare un eufemismo) un passo indietro.

Ma la maggiore fonte di nervosismo per Meloni sta arrivando dal leader leghista Matteo Salvini, che da qualche tempo ha ripreso la “guerriglia” a suon di pressing sulla rottamazione delle cartelle esattoriali, attacchi alla commissione Ue e iniziative legislative obiettivamente indigeste agli alleati. Il tutto, condito dalla storia a metà tra gossip e politica della chat di Fratelli d'Italia finita su un libro, piena di giudizi sprezzanti sul segretario del Carroccio, che non ha contribuito a rasserenare il clima. Pas d’ennemis à gauche, direbbe beffardamente qualcuno.