Giorgia Meloni si prepara a volare a Washington, dove giovedì incontrerà Donald Trump in un bilaterale che promette di diventare un termometro delle relazioni tra Europa e Stati Uniti. Ma mentre i riflettori si accendono sul viaggio oltreoceano, a Roma la premier si muove in equilibrio tra aspettative, pressioni e tentativi - politici e istituzionali - di indirizzarne l’agenda.

E soprattutto, lo sfondo alla sua missione è sempre più instabile: dopo l’annuncio di dazi-monstre da parte di Trump nei confronti della Cina, non ha tardato ad arrivare la risposta di Pechino, che è stata altrettanto dura: il governo ha infatto chiesto alle sue compagnie aeree di far interrompere a Boeing (colosso americano dell’aviazione civile) le consegne di nuovi arerei e di componenti, nel quadro di una guerra commerciale orami all’insegna dell’”occhio per occhio”.

Tornando a Meloni, c’è da dire che tutti, in un modo o nell’altro, sembrano volerla tirare per la giacca ma la diretta interessata, in questo ginepraio, ieri ha stretto tutti i dossier connessi alla missione americana, a partire ovviamente dai dazi prima annunciati e poi congelati dall'inquilino della Casa Bianca e si è presa il tempo per studiarli. Lo ha fatto a Palazzo Chigi, dove tra le altre cose ha riunito i due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, insieme al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Ieri la presidente del Consiglio ha avuto un lungo colloquio telefonico con Ursula von der Leyen, volto a cementare (o almeno a tentare di farlo) una linea europea condivisa. Oltre che di dazi, si parlerà anche di forniture energetiche, Nato, Ucraina e - in filigrana - di rapporti con la Cina. Interpellata a margine della cerimonia di consegna dei dei Premi Leonardo, a Villa Madama, la premier ha affermato che si tratta di un «momento difficile, vediamo come va nelle prossime ore», aggiungendo ironicamenre di «non sentire alcuna pressione come potete immaginare per i miei prossimi due giorni...».

Come è noto, von der Leyen avrebbe dato il proprio via libera alla missione, invitando Meloni a far valere il suo rapporto privilegiato con Trump per evitare derive unilaterali. La premier, in un certo senso, si trova nel mezzo: rappresentante di un’Italia che, al netto della retorica sovranista, ha bisogno dell’Europa per difendere le proprie imprese.

Come era prevedibile, sulla missione della premier hanno fatto leva gli esponenti dei partiti per scambiarsi fendenti dialettici: da sinistra piovono accuse e sospetti. Secondo Elly Schlein «l’Ue deve negoziare unita e compatta. Trump non può pensare di trattare bilateralmente, paese per paese: è la vecchia strategia del divide et impera». La leader del Pd avverte il governo: «Solo come comunità abbiamo la forza per reagire. Serve un nuovo Next Generation EU per costruire un piano industriale europeo».

Giuseppe Conte accusa Meloni di voler «prendere istruzioni da Trump»: «Torneremo con più gas americano», ha aggiunto, «e più commesse militari. Altro che patriottismo». Ma non è solo l’opposizione a commentare la missione. Toni più sfumati, ma comunque indicativi da Pier Ferdinando Casini: «Meloni fa benissimo ad andare a Washington», ha detto, «ma l’importante è che porti un mattone alla causa europea. Altrimenti rischia di essere solo folclore». E mentre il fronte politico si divide, dal mondo sindacale arriva un auspicio misurato ma chiaro: «Spero che Meloni possa far ragionare Trump», afferma Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl, «questo è il momento del dialogo, non delle guerre».

Nel frattempo, a Palazzo Chigi, il lavoro procede lontano dai microfoni. Il vertice di con Salvini, Tajani e Giorgetti, in una giornata che ha visto l’incontro col Primo Ministro del Montenegro, è servito a fare il punto sull’impatto che eventuali dazi americani potrebbero avere sull’industria italiana, a partire dall’agroalimentare e dall’automotive. «La favola della volpe e l’uva», commenta il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti a proposito delle polemiche «nascono più dall’invidia che da ragionamenti razionali. Tutti dovrebbero essere lieti che un presidente del Consiglio porti le istanze nazionali in un bilaterale così importante».

Meloni, però, non sembra voler accontentare né chi la vuole in missione per conto di Trump né chi la vorrebbe barricata nella fortezza europea. Tra pressing interni e aspettative internazionali, la premier italiana cerca di tenere insieme due esigenze: difendere l’interesse nazionale senza tradire l’architettura comunitaria. E se molti la tirano per la giacca, lei, almeno per ora, non sembra avere alcuna intenzione di farsela strappare.