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LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI
Ora la guerra tra centrodestra e magistratura è totale, forse persino più esasperata che negli anni del conflitto fra i togati e Silvio Berlusconi. È stato solo il caso a volere che l’esplosione di un conflitto di tali proporzioni sul fronte dell’immigrazione coincidesse con l’arringa difensiva dell’avvocato e deputata leghista Bongiorno al processo contro Salvini per il caso Open Arms. Però nessun regista avrebbe potuto fare di meglio. Il colpo inflitto alla premier dai magistrati della sezione immigrazione del tribunale di Roma è pesantissimo. Il Protocollo con l’Albania non è una mossa politica come tante altre. Era o doveva essere il fiore all’occhiello del governo italiano in Europa, la pista aperta da Roma sulla quale si sarebbero poi incamminati tutti, la prova delle centralità ritrovata dall’Italia. Chi pensa che fosse una mossa propagandistica a uso interno non afferra il senso reale della strategia impostata da Meloni ma spalleggiata dalla presidente della Commissione europea von der Leyen e da tutta quella robustissima area del Ppe che guarda a destra e accolta con vivo interesse anche da leader certo non di destra come il cancelliere tedesco. La sentenza di Roma rischia di farla naufragare nel ridicolo, anche per quegli 800 milioni che sembrano oggi gettati dalla finestra, tanto che la segretaria del Pd Schlein denuncia il possibile «danno erariale».
L’opposizione, più precisamente Pd, M5S e Avs, però non si limita a questo. Oltre a bersagliare in coro e molto rumorosamente il governo per la figuraccia, i tre partiti del centrosinistra mettono sul tavolo, in Europa, addirittura la possibile procedura d’infrazione, con la formula classica dell’interrogazione nella quale ci si chiede se la Commissione intenda procedere per un accordo illegale. La premier, che già schiumava rabbia, sbotta: «Non si era mai visto. È una vergogna». In effetti la richiesta di procedura d’infrazione contro il proprio Paese non è cosa di tutti i giorni e forse, nell’entusiasmo dei festeggiamenti, è stato un passo falso piuttosto clamoroso. Dunque la giornata di ieri apre due fronti di guerra: quello con la magistratura e quello con l’opposizione. Sul primo la tempistica rende ragione del livello raggiunto dallo scontro anche più della raffica di dichiarazione del centrodestra che si scagliano contro i «magistrati politicizzati che vorrebbero abolire i confini dell’Italia» (FdI), e che dovrebbero invece «candidarsi alle elezioni» (Lega). La sezione immigrazione si è infatti riunita prestissimo ieri mattina: sperava di chiudere prima che la commissione territoriale incaricata di vagliare le loro richieste d’asilo, e che di solito impiega mesi, le respingesse in poche ore. Ora il governo ricorrerà in Cassazione contro la sentenza che blocca il trasferimento in Albania, i 16 migranti faranno lo stesso contro il respingimento della loro richiesta d’asilo. Cosa sarà di loro quando oggi stesso la nave militare riporterà i 12 “albanesi” in Italia è oscuro. In compenso è chiara la doppia invasione di campo. Il Tribunale, forte anche della sentenza della Corte di Giustizia europea in base alla quale non si può definire “sicuro” un Paese se non è sicuro il suo intero territorio, si è di fatto sostituito al Parlamento affossando una decisione delle Camere, cioè della politica. La commissione territoriale, cioè la politica, si è sostituita alla magistratura negando un asilo che secondo il Tribunale di Roma doveva invece essere concesso.
Sul piano politico l’esito dello scontro violentissimo in termini di consenso è più discutibile. Forse l’opposizione avrebbe fatto meglio ad abbassare i decibel e limitarsi a prendere atto, certo con soddisfazione, di una decisione della magistratura. La decina e decine di dichiarazioni tripudianti, i festeggiamenti, la messa all’indice del governo, l’accusa di aver provocato un danno erariale e addirittura l’autogol della procedura d’infrazione invocata rischiano di restituire alla premier, in termini di consenso interno, quel che ha perso sul piano dello smalto internazionale. Agli occhi di quella parte non certo piccola di opinione pubblica spaventata dall’immigrazione, la festa un po’ sgangherata di ieri sembrerà la prova di quanto ideologiche e sbilanciate a sinistra siano le posizioni di una parte della magistratura. Sul piano politico, se non su quello giudiziario, il più gongolante è Salvini. La destra europea già ne aveva fatto un martire e una bandiera. Il suo processo diventa ora a tutti gli effetti la prima linea di uno scontro all’ultimo sangue tra poteri dello Stato, oltre che tra maggioranza e opposizione. E una recalcitrante Giorgia Meloni si ritrova sua malgrado buttata letteralmente tra le braccia del rumoroso alleato e della sua destra sovranista europea.