Come da programma, Giorgia Meloni è arrivata ieri a metà pomeriggio a Bruxelles, dove ha partecipato al vertice Ue- Balcani occidentali, il primo presieduto dal portoghese Antonio Costa nelle vesti di nuovo presidente del Consiglio europeo. Il summit, che si è svolto alla vigilia del Consiglio di oggi, servirà a fare il punto sul partenariato strategico tra Ue e Balcani occidentali e sull’integrazione dei Paesi dell’area nell’Unione europea: il 1 º luglio 2013 la Croazia è stata il primo dei sette Stati ad aderire all’Ue, mentre l’Albania, la Bosnia- Erzegovina, il Montenegro, la Macedonia del Nord e la Serbia sono Paesi candidati. Da ultimo, nel dicembre 2022 anche il Kosovo ha presentato domanda di adesione.

Una serie di Paesi con i quali l’Italia, in primis per questioni geografiche, ha una stretta relazione, della quale la presidente del Consiglio ha parlato in Senato poche ore prima di arrivare a Bruxelles. Replicando alle opposizioni, l’inquilina di palazzo Chigi ha convenuto sulla necessità di una «riunificazione» della Ue con i Balcani («in questo l’Italia è in prima fila»), anche per scongiurare i rischi di una penetrazione russa in tutta l’area, a partire dalla Serbia.

«C’è una possibile influenza russa e noi dobbiamo rispondere a quel tentativo di avanzata, avvicinando i Balcani occidentali. Io sono d’accordo su questo», ha spiegato Meloni. Ma a proposito delle critiche rivolte dalla sinistra alle posizioni filo- russe del governo ungherese di Viktor Orbán, la presidente del Consiglio ha messo in guardia: «La proposta sull’Ungheria è: buttiamola fuori dalla Ue perché non ha le nostre posizioni sull’Ucraina? Questo è in contraddizione, perché la lente con la quale leggete i fenomeni è sempre quella amico/ nemico. In politica estera non funziona così».

E qui è scattata una delle standing ovation della mattinata dai banchi del centrodestra. «Se l’Europa ragiona così è già morta, e io non la voglio uccidere», ha proseguito la leader di Fdi rivolgendosi ai banchi dell’opposizione. Ma il vero protagonista della seduta, pur involontariamente, è stato il pittoresco presidente dell’Argentina, Javier Milei, citato dal leader di Iv Matteo Renzi nel corso del suo intervento e poi ripreso dalla stessa Meloni.

Il presidente argentino «è quello che grida “afuera”, lei è quella che grida “Cnel”: quando Milei le ha portato la motosega io immaginavo che gli restituisse un Brunetta...», punge l’ex presidente del Consiglio. Pronta la risposta della leader di FdI: «Senatore Renzi, che vuol dire stare con Milei? Lei era amico di Barak Obama e si metteva il cappotto come Barack Obama, io sono amica di Milei ma non mi faccio crescere le basette». E già risate.

Renzi riesce nel miracolo di unire le opposizioni in un applauso comune al termine delle cinque domande che pone al governo, alle quali Meloni risponde punto si punto.

Uno dei quali riguarda la posizione della Lega sul commissario italiano Raffaele Fitto e sulla nuova Commissione, e qui la presidente del Consiglio s’infervora. «La differenza tra la Lega e le opposizioni, è che la Lega ha votato Fitto pur criticando la Commissione, mentre i Socialisti hanno votato la Commissione ma scrivendo una lettera a von der Leyen contro Fitto: cosa ne pensa il Pd?». Fischi dai banchi dem ed espressione contrariata da parte del senatore Alfieri, chiamato direttamente in causa da Meloni.

La quale poi difende la propria autonomia da Elon Musk, ribadendo di «non prendere ordini da nessuno» e rispondendo all’ex presidente del Consiglio Mario Monti, che aveva descritto l’atteggiamento del governo nei confronti del miliardario come una sorta di «protettorato morale». «Non so che film abbiate visto - scandisce la presidente del Consiglio - «Per tanti anni abbiamo visto dei leader italiani che pensavano che quando avevano un buon rapporto, un’amicizia con un leader straniero, dovevano seguire pedissequamente quello che facevano gli altri: io non lo penso. Posso essere amica di Elon Musk ma anche essere la premier del primo governo che ha regolamentato gli interessi dei privati nello Spazio».

E riconosce a Musk «un miracolo», quello di aver fatto «diventare sovranista» anche il Pd. E mentre il presidente del Senato La Russa fatica a tenere a bada il grillino Ettore Licheri per le consuete polemiche sul Superbonus, la seduta finisce tra gli auguri di «Buon Natale» di Meloni ai senatori e la pronta replica del suo capogruppo Malan: «Buon Natale a lei e al governo». Che nel frattempo è arrivato a mangiare il suo terzo panettone.