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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA
Ma a chi si rivolge il Capo dello Stato nel discorso più accorato, a tratti persino apocalittico, della sua lunga presidenza? Formalmente ai vertici dello Stato riuniti sul Colle con l'espressione di circostanza delle grandi occasioni. In realtà all'intero establishment. Alla maggioranza e al governo, certo, ai quali ricorda che «coloro che rivestono responsabilità istituzionali, a cominciare dal Presidente della Repubblica, sono tenuti a esercitarle sapendo che le istituzioni sono di tutti».
Occorre che scoprano "lo spirito di servizio" rinunciando a quello di fazione. Ma si rivolge anche all'opposizione perché «va sempre rammentato un punto fondamentale: il rispetto delle istituzioni nei confronti di chi ne ricopre il ruolo». Un governo può non piacere, è ovvio che a molti non piaccia. Ma è un'istituzione e come tale merita rispetto. E le divisioni politiche non devono far dimenticare che «vi sono interessi nazionali che richiedono la massima convergenza". La sfida politica, quando c'è di mezzo davvero l'interesse generale, deve saper fare un passo indietro. Sono principi che Mattarella aveva già espresso, in diverse forme e occasioni già altre volte in passato. Quel che rende il discorso di ieri particolarmente incisivo, tanto da spingere il Colle ad anticiparne nei giorni scorsi l'importanza, è la posta in gioco.
Non si tratta più solo di rispettare lo spirito e anche le forme della convivenza civile e politica in base ai principi sanciti dalla Costituzione. Si tratta né più né meno che di salvare la democrazia perché in questo momento storico a essere assediata e minacciata di scacco matto è la democrazia stessa. Concorrono alla costruzione di questo rischio estremo diversi fattori, che il presidente, con toni più preoccupati e allarmati di quanto sia mai stato dato di sentire da quando abita al Quirinale, ricapitola rapidamente ma non superficialmente. I venti di guerra non flagellano solo chi è direttamente coinvolto nei conflitti. Perché «le immagini trasmesse dalle guerre seminano in profondità, anche in chi non ne è direttamente coinvolto, paura inimicizia, divisione, odio barriere, di ogni tipo. Abituandosi a convivere con l'odio si rischia di diffonderlo».
Non è un rischio che incomberà domani: «Qualcosa purtroppo è già cambiato». Quel qualcosa rinvia a una descrizione che è anche un'istantanea della situazione italiana: «Si registra ovunque un fenomeno di evidente, progressiva polarizzazione. Appare sempre più difficile preservare lo spazio del dialogo e della mediazione all'interno di società che sembrano oggetto di forze centrifughe divaricanti». E questa radicalizzazione che riduce tutto al binomio "amico/nemico" non riguarda solo la politica. «La precede e va molto oltre. Tocca ambiti sociali, economici, culturali, persino etici». A questa spaccatura crescente della società si accompagna, come una nuvola anche più oscura, «la concentrazione in pochissime mani di enormi capitali, del potere tecnologico così come il controllo accentrato dei dati, definibili come il nuovo petrolio dell'era digitale».
La conseguenza è da un lato la crescita di diseguaglianze che raggiungono livelli fantascientifici ma anche l'imporsi di poche potentissime corporation svincolate da ogni controllo pubblico che finiscono per «intaccare la stessa idea di Stato per come la abbiamo conosciuta». Non c'è Stato senza monopolio della forza e della moneta ma le corporation «sono capaci di sfidare le prerogative statuali anche su quei due fronti». Il solo antidoto è la democrazia, o meglio l'amore per la democrazia, la fiducia nella democrazia basata su un rinnovato rapporto tra popolo e istituzioni, tra i cittadini, i loro rappresentanti, le istituzioni.
Quel che in Italia Mattarella vede oggi messo a rischio è il cemento costituito da «valori comuni e condivisi, cultura, sentimenti popolari», sfibrato da «conflitti e radicalizzazioni artificialmente alimentate come dalla ’disaffezione’ e dallo «svuotamento di senso che si riflettono nell'astensionismo». In parte il monito rivolto a tutti, non solo alla politica ma anche ai media e alla cultura, guarda con preoccupazione alla imminente fase che sarà segnata probabilmente da numerosi e per definizione ancor più laceranti referendum. Risponde insomma a un'urgenza imminente. Ma in parte anche maggiore è l'intera deriva dello scontro politico culturale ed etico, in Italia e in tutto l'occidente democratico che teme stia arrivando a livelli tali da minacciare lo stesso futuro della democrazia. Non solo in Italia ma certo anche in Italia.