Martedì 17 settembre Mario Draghi presenterà il suo Rapporto sulla concorrenza: tre aree di intervento urgenti e necessarie, innovazione tecnologica, riconversione ecologica e difesa, 170 proposte concrete. La presidente von der Leyen, che aveva commissionato il rapporto, ha già applaudito presentando il testo a fianco dell'ex presidente della Bce.

Christine Lagarde, che ha preso il suo posto alla guida della Banca centrale europea, e il presidente dell'eurogruppo Paschal Donohoe si sono aggiunti ieri, più cauto il secondo, lanciatissima la prima: «Draghi e Letta sottolineano l'urgente bisogno di riforme e forniscono proposte concrete per farle avvenire». Letta è autore del Rapporto parallelo, sempre commissionato dalla presidente della Commissione europea presentato pochi mesi fa e che arriva a conclusioni identiche a quelle di Draghi.

Al coro si è aggiunta venerdì una voce meno prevedibile, quella del leader ungherese Orbàn, in particolare per quanto riguarda il rifiuto del protezionismo. E' prevedibile che scrosceranno applausi, anche se non unanimi, anche martedì prossimo nell'aula di Strasburgo e tuttavia le probabilità che le proposte dei due ex premier italiani prendano davvero corpo sono ridotte all'osso.

L'autorevolezza di Draghi è incontestata ma di qui a farne una guida reale ce ne passa. Se avessero avuto un'intenzione del genere i leader dei Paesi guida dell'Unione avrebbero approfittato delle elezioni e della fase postelettorale per nominarlo presidente della Commissione o del Consiglio europeo ma l'ipotesi, oggetto di voci in quantità alla vigilia, non è mai stata neppure presa in considerazione. I leader politici non vogliono Draghi in una posizione centrale nell'Unione esattamente come quelli italiani non lo hanno voluto presidente della Repubblica e più o meno per gli stessi motivi.

L'ostacolo principale è proprio l'autorevolezza di Draghi, la sensazione, peraltro non infondata, che sommare a quell'autorevolezza un ruolo politico centrale e non in via emergenziale e transitoria come fu la sua presidenza del consiglio in Italia, lo renderebbe troppo potente e limiterebbe molto pesantemente il loro ruolo e la loro parte in commedia. Si tratta di fondo dell'eterna contraddizione dell'uomo, che è un tecnico e non un politico, si presenta come tale, esalta il pragmatismo a scapito delle ideologie e tuttavia propone sin dai giorni della Bce e del “Whatever It Takes” una visione e un progetto che sono invece rigorosamente politici.

Il Report sulla competitività è un esempio eminente di questa modalità e anche di questa contraddizione. Si tratta di un rapporto rigorosamente tecnico e come tale il suo autore lo presenta: le proposte però delineano di fatto un preciso orizzonte politico e dunque non sono attuabili se non dopo una scelta di fondo omogenea che è politica prima e più che tecnica. Quel vuoto Draghi non può colmarlo di persona.

Avere una visione politica non significa essere un politico e Draghi non lo è. Lo ha dimostrato proprio nella sua sola prova realmente politica, la presidenza del consiglio e la fallimentare corsa per il Quirinale. Letta, da segretario del Pd, intendeva fornirgli la necessaria sponda politica e ci ha provato ma in modo particolarmente goffo e perdente, probabilmente perché lui stesso, almeno oggi e forse anche ieri, è più uno studioso che un vero leader politico. Ma senza una sponda politica le proposte dell'ex presidente della Bce sono probabilmente destinate a finire, tutte o quasi e comunque l'ispirazione omogenea di fondo, in un cassetto. Quella sponda potrebbe e probabilmente dovrebbe offrirla il governo italiano.

Il ministro dell'Economia italiano, pur essendo il numero 2 della Lega, ha sempre mantenuto un rapporto forte con Draghi e da molti punti di vista è certamente più vicino all'ex premier che a Salvini. Giorgia Meloni è la sola leader che si opponesse al governo Draghi ma in quella fase era quasi un luogo comune, avvalorato peraltro dalla stessa Giorgia, che fosse più “draghiana” lei all'opposizione che molti dei leader di quella maggioranza. Anche da premier, del resto, la Sorella d'Italia ha mantenuto i rapporti con entrambi gli autori dei Rapporti europei, non solo con Draghi ma anche con Letta.

Nella maggioranza solo la Lega è su posizioni diverse (anche se la posizione di Orbàn, vero leader dei Patrioti in Europa dimostra che la chiusura è meno blindata di quanto ci si potesse aspettare) ma nel complesso l'Italia avrebbe tutto da guadagnare da un modello europeo come quello tratteggiato da Draghi e Letta.

L'Italia, del resto, è oggi tra i grandi Paesi europei quello con il governo più stabile, il che lo aiuterebbe ad avere voce in capitolo. La premier ha invitato Draghi a palazzo Chigi per discutere le sue proposte. Se avrà il coraggio e la capacità di proporsi come sponda politica di quel progetto sarà una sterzata drastica e non priva comunque di conseguenze da numerosi punti di vista.