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Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei Ministri
Ci sono parecchie circostanze attenuanti, almeno tre. Ma lo sbando della maggioranza e del governo resta comunque clamoroso e difficilmente spiegabile. Le difficoltà oggettive sono palesi. Con le prime elezioni della storia repubblicana in settembre il governo si è trovato con i tempi ridotti all'osso non per sua colpa. Il governo è politico e sostenuto da una maggioranza politica: Giorgia Meloni non può procedere sbrigativamente e d'autorità come faceva Draghi. Deve trattare e deve farlo sapendo che se vuole deludere chi profetizza per il suo governo vita brevissima, la premier deve trattare con la sua maggioranza senza imporsi nonostante i rapporti di forza schiaccianti a suo favore. I fondi a disposizione sono non scarsi ma scarsissimi e questo complica le cose perché tutti vogliono comunque strappare qualche risultato da sbandierare nei prossimi mesi. Si aggiunge una difficoltà in più, che ha pesato sì su tutti i governi precedenti ma stavolta configura una situazione particolarmente delicata. La manovra deve piacere all'Europa non solo “nel complesso” ma anche nei dettagli deve essere almeno considerata digeribile.
Tutto vero. Però il quadro di una maggioranza che, nonostante i tempi strettissimi, continua a prendere tempo e rinvia di ora in ora la presentazione degli emendamenti del relatore, l'assurdità di una commissione Bilancio che dovrebbe correre e in 6 giorni non è riuscita a votare neppure un emendamento, il caos palesato dalla tentazione di portare direttamente in aula il testo base, dopo che il governo stesso ha invece presentato 5 pacchetti di emendamenti che riscrivono quasi radicalmente quel testo, vanno oltre ogni previsione.
L'opposizione, checché ne dicano i partiti di maggioranza, almeno per ora c'entra pochissimo. Non è l'inesistente ostruzionismo delle tre opposizioni a rallentare tutto ma le dinamiche della maggioranza, tanto avviluppate che non si riesce neppure a capire quali contenziosi impediscano di rompere gli indugi e presentare in via ufficiale e definitiva le proposte di modifica. Questo è l'aspetto inaudito dell'imprevisto psicodramma e il fatto che ci si azzuffi per le briciole da questo punto di vista peggiora il quadro. Significa che la paralisi deriva da bracci di ferro su particolari a volte significativi ma certo non determinanti.
Certo, l'assalto alla diligenza è una costante della politica italiana. Il tentativo di strappare anche briciole ma tali da garantire titolo di merito anche in una sola area del Paese non è inedito, al contrario. In questo caso però il governo neonato si trovava alle prese con una prova che non faceva perno sul contenuto della manovra, che nel concreto fa pochissimo, ma sulla capacità di fronteggiare in modo adeguato una situazione resa eccezionale dalla scarsità del tempo a disposizione.
Più che sul taglio dell'IVA sul pellet al 10 o al 5 per cento, tanto per citare uno dei capitoli che hanno rallentato tutto negli ultimi giorni, o su altre misure del genere, il giudizio sul governo e sulla maggioranza dipendeva in questo caso dalla loro necessità di fare presto e di diffondere una rassicurante sensazione di efficienza e determinazione. Invece proprio su questo fronte la destra ha messo in mostra tutte le sue difficoltà: la necessità di trattare con partiti della maggioranza blindati intorno alle rispettive bandiere, un approccio malcerto, confusionario e goffo, che ha portato alla necessità di rivedere sensibilmente, se non radicalmente, la manovra all'ultimo secondo, con i 100 emendamenti divisi in ben 5 pacchetti presentati dal governo.
Non ci volevano capacità divinatorie per capire che, nella formulazione diversa da quella licenziata due giorni prima dal Cdm, il nodo del Pos avrebbe determinato uno scontro con l'Europa tale da obbligare alla retromarcia. Il discorso potrebbe estendersi a molti capitoli chiave della manovra: dallo stralcio delle cartelle al balletto sul Superbonus. Per Giorgia Meloni questa legge di bilancio che era al 70 per cento scritta in partenza dovrebbe costituire un rumoroso campanello d'allarme. Se non riprenderà rapidamente le redini, il rischio diventerà serio perché nulla sarebbe più esiziale per il suo governo dell'apparire inetto.