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Il ministro Giorgetti e la premier Meloni (foto Lapresse)
La tensione alle stelle tra l'asse del governo, composto dal team di palazzo Chigi e da quello del Mef, e Forza Italia, non nasce da una gaffe estemporanea, provocata dalla inespereizna, per così dire, e dal caos che circonda il varo della legge di bilancio.
C'è anche questo, ma nel terremoto provocato dalla forzatura degli azzurri sullo scudo penale per gli evasori si può leggere in controluce qualcosa di molto più profondo e strutturale. L'emendamento Lupi, sostenuto soprattutto dal suo ex partito di Arcore, era considerato “eccessivo” anche al netto dei contenuti.
Il governo corre sul filo di un esercizio provvisorio che, in termini di immagine, rappresenterebbe un danno incalcolabile. Per evitare la pessima figura deve poter contare sulla disponibilità di un'opposizione inviperita soprattutto per i segnali inviati, secondo la lettura comune, agli evasori.
Proporre il perdono per le omesse dichiarazioni, le dichiarazioni infedeli e gli omessi versamenti era un invito all'ostruzionismo. Meloni e Giorgetti se la sono vista brutta e hanno ingranato la retromarcia. Sin qui, imperizia e scarso controllo sulla maggioranza a parte, nulla di stupefacente.
Ma se si inquadra l'incidente nel quadro della manovra nel complesso la percezione del fattaccio cambia ed emergono due concezioni molto diverse, a volte opposte, di intendere il compito di una destra al governo: quella di Berlusconi era una cosa, quella di Giorgia Meloni tutt'altra e un'altra ancora quella della meteora Salvini.
Berlusconi era l'uomo dei condoni, della detassazione come crociata, della promessa, poco importa quanto mantenuta, di un permissivismo a vasto raggio in nome della parola d'ordine “meno Stato”. Salvini è stato e cerca ancora di essere un leader compiutamente populista, di quelli che cavalcano il rancore ma anche il disagio di una parte ampia di popolazione.
Giorgia Meloni si propone come una versione diversa della destra: ” decisa” in materia di ordine pubblico e controllo sociale, paladina del “laissez- faire” in economia. Un po' Almirante, un po' Thatcher. Liberista e un po’ meno liberale.
Se questa manovra è fatta di segnali, va detto che vanno tutti in una direzione e di populista, ma anche di popolare, non c’è molto. Esemplare il caso proprio del condono, lo stralcio delle cartelle. Per i lavoratori dipendenti o peggio, il principale vantaggio era rappresentato dalle multe non pagate. Il progetto di escludere le multe dal condono e di sottoporre gli altri stralci al semaforo verde dei Comuni non modifica lo spirito del condono ma circoscrive la platea rischiando di escludere le fasce più svantaggiate.
L'aumento delle pensioni minime è stato strappato con fatica da Forza Italia, ma con l'aggiunta di due frutti avvelenati: l'esclusione dall'aumento degli under 75 e la scadenza del non cospicuo incremento alla fine del 2023. Il dimezzamento dell'Iva per le abitazioni “verdi” va in tutta evidenza a vantaggio delle fasce medio alte: e probabilmente nelle periferie non se ne accorgeranno. La tassa sugli extraprofitti verrà applicata secondo criteri che permetteranno a moltissimi di sottrarsi.
Il cuore politico della manovra è lo smantellamento del reddito di cittadinanza, che non è stato limitato o circoscritto ma rovesciato nel suo significato e negli obiettivi. Cancellato a partire dal 2024 e quasi dimezzato nelle mensilità del 2023 per gli “occupabili”, verrà comunque tolto a chiunque rifiuti la prima offerta di lavoro che, grazie al blitz di queste ore, non dovrà più essere “congrua”. In questa versione il Reddito di cittadinanza perde al caratteristica originaria di accrescere la forza contrattuale dei lavoratori non più costretti ad accettare qualsivoglia impiego.