Prima l’assist con un filtrante che “manda in porta” la segretaria del Pd Elly Schlein, lesta a trafiggere con il destro il portiere avversario (per la cronaca, gol annullato per fuorigioco). Poi l’abbraccio durante i rigori finali, a ricordare quello di Pirlo a Cannavaro nella serie indimenticabile di tiri dagli undici metri al termine di Italia-Francia, nel 2006. Infine il post, pubblicato su Instagram, per sottolineare quanto sia «bello giocare con altri parlamentari» grazie al «magico potere del pallone», con tanto di foto dell’abbraccio in bella vista.

Dal momento che Matteo Renzi ci ha abituato a non lasciare nulla al caso, è evidente che anche una partita di solidarietà, come è stata quella di martedì sera a L’Aquila tra la nazionale cantanti e quella della politica per raccogliere fondi per il reparto di pediatria dell’ospedale cittadino, ha i suoi risvolti strategici. O tattici, visto il tema calcistico.

E il risvolto dell’undici contro undici tanto enfatizzato da Renzi è che le aperture tra l’ex presidente del Consiglio e la leader del Pd non solo sono ormai sotto gli occhi di tutti, ma vengono alimentate giorno dopo giorno. Sfruttando anche fatti simbolici come quelli de L’Aquila, con quell’abbraccio che dà il via ad aneddoti e retroscena.

«Capisco la società dell’immagine e le regole della comunicazione, ma la politica ha i suoi canoni, i suoi tempi e le sue modalità», commenta il capogruppo di Iv in Senato, Enrico Borghi. Ed è proprio nei tempi che si concentra il dibattito sia dentro il Pd che dentro Iv, lasciando intendere che un processo di avvicinamento è cominciato, pur essendo ancora lontano dal risolversi in un’alleanza.

«Come chiarito anche dallo stesso Renzi il punto politico che abbiamo di fronte, essendo noi chiaramente alternativi rispetto a un campo sovranista e nazionalista, è come dare corpo all’altra polarità, che è quella dei riformisti e degli europeisti - ragiona Borghi - Come dimostrano le elezioni in Gran Bretagna, in Francia e le Europee, la polarità in questo momento in Europa è tra il campo riformista e quello sovranista, che è il motivo per il quale Meloni adesso è in difficoltà: Tajani sta con gli europeisti, Salvini con i sovranisti e lei in mezzo.

Una riflessione riassumibile con un “di necessità, virtù”. Con un non detto, e cioè che il vero problema è la presenza, pur ridimensionata dopo le Europee, del M5S di Giuseppe Conte. Ma anche in questo caso i renziani non sembrano spaventati, anche perché un governo con Conte l’hanno già fatto, pur se in piena pandemia da Covid.

«Le Europee hanno sciolto un nodo, cioè hanno detto che il tentativo portato avanti da Conte e da pezzi del Pd di far diventare il leader M5S il punto di riferimento del centrosinistra è stato velleitario - spiega Borghi - Spetta al Pd il compito di svolgere una funzione di raccordo: e da questo punto di vista le dichiarazioni di Schlein che hanno fatto cadere il veto contro Renzi e Iv costituiscono un aspetto preliminare, quel minimo sindacale che tuttavia finora non c’era stato».

Del resto «una cultura politica che propugna diritti e libertà, come quella centrista, «non ha nulla a che vedere con la destra nazionalista» e per questo «in Italia occorre aprire una stagione di confronto nel merito ancora tutta da scrivere ma che parte da un punto importante cioè che sono state sgombrate dal campo quelle pregiudiziali che hanno determinato il risultato del 2022». Con un punto fermo, conclude Borghi: «l’identità sarà importante, perché solo se sai chi sei puoi decidere con chi andare».

Ma proprio qui casca l’asino, perché l’identità di Iv è difficile da definire. Lo stesso Renzi guarda ancora di buon occhio la nascita di un nuovo terzo polo per il quale vedrebbe bene l’istituto delle primarie, e c’è chi, come Luigi Marattin, dell’abbraccio con Schlein e Conte non vuole sentir parlare, volendosi egli stesso candidare alla guida del nuovo soggetto libdem che prescinda da Renzi e Calenda.

«Bisogna presentarsi agli elettori con la propria identità, che dal mio punto di vista è totalmente diversa da quella di Schlein e Meloni - ci dice Marattin - Sono talmente matto da pensare che una visione liberal democratica in Italia sia la maggioranza: oltre tredici milioni di italiani si astengono e il partito maggiore, FdI, prende sei milioni di voti, di cosa stiamo parlando?».

Una posizione più che chiara, e che cozza con qualsiasi tentativo di dialogo con il centrosinistra. «Precisato che sarebbe folle un paese che basa le alleanze sulle partite di calcio, chiarisco che io non andrò col campo largo ma farò un partito libdem centrale e autonomo da destra e sinistra - insiste il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio - A chi dice che non c’è spazio dico che in Gran Bretagna, con la legge elettorale più maggioritaria del mondo i libdem hanno preso oltre il 12 per cento per cento e che in Francia un partito centrale e autonomo ha preso il 20 per cento, ed è stato considerato un mezzo disastro: in Italia, con una legge per due terzi proporzionale, mi vogliono raccontare la bufala che non c’è spazio per un partito autonomo? Io non andrò mai col campo largo e mai con Salvini e meloni, chi vuole sa che questa offerta si costruirà».