Quello di ieri è stato probabilmente il discorso più efficace pronunciato in Parlamento da Giorgia Meloni in veste di presidente del Consiglio. L’opposizione, se mira a vincere le prossime elezioni politiche, farebbe bene a non sottovalutarlo. La premier ha toccato una corda sola, ma a più riprese e riuscendo a modularla a dovere: quella dell’orgoglio nazionale. Ha messo in difficoltà il Pd sul voto per Raffaele Fitto, che ci sarà senza dubbio perché il partito di Elly non può apparire sabotatore e ostile a un vicepresidente esecutivo italiano in nome dell’interesse di partito e di coalizione. Tanto meno potrebbe farlo con alle spalle il voto opposto del centrodestra sulla nomina di Paolo Gentiloni nella commissione uscente.

Ma il guaio per il Pd sono le esitazioni sin qui dimostrate, l’indecisione, i dubbi. Messe così le cose per settimane, ogni scelta si rivelerà parzialmente sbagliata: il voto a favore di Raffaele Fitto nel Parlamento europeo sembrerà concesso obtorto collo, quello contro sarebbe un boomerang. La premier è stata efficace anche sui due temi chiave della guerra in Libano e dell’immigrazione. Sul primo, forte di una protesta contro Israele più forte di quella di tutti gli altri Paesi europei, Meloni ha poi potuto scagliare contro gli avversari l’accusa appena velata di alimentare l’ondata di antisemitismo certificata il giorno prima con massimo allarme dalla Commissione europea e quella di spalleggiare silenziosamente, o almeno non contrastare con la necessaria energia, le manifestazioni violente, anche se in realtà gli scontri di Roma sono stati appena scaramucce.

Ma per Elly il vero problema è il capitolo immigrazione. Per un partito di centrosinistra non è facile criticare aspramente un modello che riscuote plauso e interesse da parte di un governo laburista come quello del Regno Unito e di un cancelliere socialdemocratico come il tedesco Scholz.

È possibile e forse probabile che l’accordo con l’Albania si riveli inutile e che si ripetano in quel Paese, pur se presumibilmente in forma meno estrema, le stesse violazioni dei diritti umani già riscontrate in Libia. Tuttavia la presidente del Consiglio ha impostato una strategia, fatta propria dall’intera Unione europea, mentre dall’altra parte c’è solo un balbettamento privo di proposte alternative allo stato delle cose e Giorgia ha avuto dunque buon gioco nel denunciare la sostanziale inerzia dei passati governi a fronte del problema che più di ogni altro preoccupa le popolazioni europee, poco importa se a torto o a ragione, e che gonfia le vele della destra ovunque.

C’è in realtà un secondo fronte sul quale la destra sta sfondando ovunque: quello del Green Deal. Meloni è stata molto netta nel denunciare un Green Deal che definisce «ideologico» battendo sul tasto per i cittadini e per gli elettori più sensibile: quello dei costi di una riconversione ecologica che non può essere realizzata senza varare contemporaneamente un piano di sostegno che non la renda intollerabile per i cittadini italiani ed europei.

Su tutti questi capitoli, ieri, la premier e leader della destra è uscita vincente, anche perché non ha mancato di esibire il suo nuovo europeismo, difficilmente discutibile dal momento che la prima a crederci è proprio l’Unione europea, e la sua adesione entusiasta ai report di Draghi e Letta è da questo punto di vista definitiva. L’opposizione, o più precisamente il Pd, sconta invece una scelta in prospettiva perdente, quella di allinearsi al M5S, competendo con il Movimento di Conte solo sul suo stesso terreno. Il problema è che mentre il M5S, e in parte anche Avs, possono permettersi di puntare solo sulla propaganda, il Pd, alla lunga, non può farlo.

Questa impostazione risponde in realtà a una logica precisa: il Pd ritiene più importante blindare i propri specifici risultati elettorali anche a costo di mettere a fortissimo rischio la vittoria nelle prossime elezioni. È un indirizzo comprensibile per un partito che appena due anni fa temeva un crollo paragonabile a quello degli altri partiti socialdemocratici europei ma è ugualmente una scelta miope.

La premier ha toccato solo di sfuggita la legge di bilancio e il Documento programmatico che ne costituisce la base, come confermato dal Cdm di ieri sera. Eppure proprio sul quel punto la premier si gioca buona parte della credibilità. Se, come l’anno scorso, arretrerà di fronte alla resistenza delle banche, delle industrie che hanno realizzato profitti e ricavi eccezionali e di Forza Italia che ha scelto di rappresentare esclusivamente i loro interessi nella maggioranza i punti che ha segnato ieri in Parlamento, in buona parte ma non soltanto grazie alle insufficienze dell’opposizione, si riveleranno inutili.

In due anni di governo, la leader di FdI ha dimostrato di essere affidabile per quell’Unione europea e per quei poteri che dall’opposizione bersagliava quotidianamente. Deve ancora dimostrare di essere capace, se e quando necessario, di sfidarli e affrontarli.